Ilvo Diamanti

Non è chiaro come si concluderà questa crisi. Perché non è chiaro quali siano i riferimenti degli attori politici in scena. Dopo il voto del 4 marzo 2018. Che ha sancito il successo di due partiti uniti da ciò che li divide da tutti. Anche dagli alleati di governo. In qualche misura, anche al loro interno. Ciascuno impegnato a inseguire i propri elettori. Fino a ieri. Quando la Lega di Salvini ha deciso di riequilibrare i rapporti di forza in Parlamento. A suo favore. Per questo attendeva e voleva nuove elezioni. Che, tuttavia, il Presidente non ha concesso e difficilmente permetterà. Almeno, per ora. Così, Giuseppe Conte, premier uscente e re-incaricato, ha tentato una via diversa. L’intesa con il PD. Un’alleanza giallo-rossa. Che in Parlamento avrebbe numeri simili a quella precedente. Anche se, in base alle stime elettorali di agosto (da valutare sempre con prudenza…), risulterebbe più debole. Maggioranza parlamentare e minoranza elettorale. Tuttavia, viviamo in tempi liquidi. Nei quali il voto è fluido. Così, non è detto che l’esperimento non possa riuscire. Almeno, nella fase d’avvio. Domani, ovviamente, è un altro giorno. Si vedrà. Tuttavia, è quasi naturale un richiamo al passato, solo in parte sorprendente. È l’accostamento fra il M5s, oggi, e la Democrazia Cristiana, nella Prima Repubblica. Lo ha suggerito, in modo accurato, oltre che ironico, Michele Serra. Proprio ieri. Un’indicazione che può apparire provocatoria. Data la distanza fra i modelli espressi da due soggetti tanto diversi. Perfino alternativi. La DC: il “partito” per definizione. Abituato a “governare”. Ma anche ad “abitare” la società e il territorio. Come il PCI. Il suo antagonista nella Prima Repubblica. Il M5s: Non-partito, per auto-definizione. Canale del disagio democratico e della protesta Anti-politica, nell’ultimo decennio. Tuttavia, se si “contestualizzano” i due soggetti, il “paragone” (con la p minuscola) appare meno provocatorio di quanto si pensi. D’altronde, in passato avevo definito il M5s un esempio di Contro-Democrazia Cristiana. Protagonista della contro-democrazia, una definizione coniata da Pierre Rosanvallon per evocare la “democrazia della sorveglianza”. Ma, al tempo stesso, un soggetto politico che riassume alcuni caratteri dei tradizionali partiti di massa. Per primo la Democrazia Cristiana. L’interclassismo, anzitutto. Il M5s, infatti, raccoglie i maggiori consensi fra i ceti medi pubblici e privati, fra i lavoratori autonomi e gli imprenditori. In competizione con la Lega. Come la DC. A differenza della quale, però, esprime maggiore capacità di attrazione fra i giovani e (soprattutto) gli studenti. Fra i disoccupati. Suscita, invece, minore attrazione presso gli elettori anziani e le donne. E, dunque, fra le casalinghe. Orientate, anch’esse, anzitutto verso la Lega di Salvini. L’altro aspetto, fondamentale, che accosta il M5s alla DC è la trasversalità politica. Circa un quarto dei suoi elettori si definisce, infatti, di centro-sinistra o di sinistra, quasi il 30% di centro-destra o di destra. Una componente cresciuta in seguito all’alleanza di governo con la Lega. Mentre una quota più ridotta (10%) si pone al “centro”. Ma i “centristi puri”, in Italia, hanno sempre costituito una componente limitata. Oltre un terzo degli elettori del M5s, invece, rifiuta lo spazio politico sinistra-destra. E si pone al di “fuori” e in alternativa rispetto all’asse Destra/Sinistra. La base elettorale del M5s, di conseguenza, si sente contigua a partiti molto diversi. E dunque a nessuno, in particolare. Naturalmente, un anno di governo con Salvini l’ha segnata. In una certa misura, l’ha trasformata in una L5s. Lega a 5 Stelle. Un modello dal quale deve necessariamente staccarsi, per proseguire. A questo fine può ricorrere alla trasversalità della sua base e rivolgersi a Centro-sinistra, come una parte del suo elettorato. Tanto più ora, che gli elettori di Destra e di Centro Destra, in parte, hanno scelto la Lega. Tuttavia, i problemi del M5s, nel riprodurre la DC, sono diversi. E difficili da risolvere. Il primo è che il M5s continua a definirsi un non-partito. Anche se si è istituzionalizzato. Tuttavia, a differenza della DC, non ha una classe dirigente formata e selezionata sul territorio. La piattaforma Rousseau è un’altra cosa. Perché la rete può essere utile a verificare il sostegno degli elettori a una scelta. Molto meno a elaborarla, discuterla. Ma, soprattutto, ancora oggi, esclude settori molto ampi della società. I più anziani, i meno istruiti, i ceti periferici. Una parte importante di elettori. Che è giusto e utile interpretare. Per non parlare dell’identità “cristiana” alla base della DC. Irripetibile, se non in modo improprio e caricaturale, com’è avvenuto… In secondo luogo, i tempi sono cambiati. Più della politica conta l’anti-politica. Anche la Dc, peraltro, rappresentava ampi settori di elettori lontani dalla politica, diffidenti verso lo Stato e le istituzioni. Ma si incaricava di integrarli nello Stato. Ne intercettava gli interessi e i sentimenti, piuttosto che i risentimenti. Mentre il M5s è una Contro-Dc. Abile a contrastare i poteri, molto meno a esercitarli. Anche perché non dispone di leader come Andreotti, Rumor, Forlani, De Mita… E non li vuole. Anzi, rivendica il distacco da quella “storia”. Per la stessa ragione il premier, in carica e re-incaricato, Giuseppe Conte, è tanto discusso. Perché, in qualche misura, evoca quel passato. È un mediatore. Cirino Pomicino, uno che se ne intende, intervistato sull’Espresso, l’ha definito “un doroteo”. Ma, per questo, incontra ostacoli. Dentro al (non)Partito. Anzitutto da parte di chi ha guidato la stagione appena conclusa. E vorrebbe riproporre l’auto-inganno dell’anti-partito. Al governo…