Lina Palmerini

Il senso del colloquio che c’è stato ieri al Quirinale – oltre ai passaggi più formali e ad alcuni sostanziali (come i numeri al Senato e i 4 ministeri che Mattarella considera cruciali) – è che l’incarico appena conferito ha una natura politica. Che, quindi, il capo dello Stato considera il Conte bis – se andrà in porto – come un Governo a tutti gli effetti politico e non istituzionale e certamente non una riedizione dell’Esecutivo Monti come dice Salvini. Una sottolineatura superflua vista la genesi di questo tentativo, con una crisi nata a sorpresa per lo strappo del “Capitano”, per i due “forni” che si sono aperti, con quello della Lega che poi è stato chiuso e infine l’approdo sull’accordo tra Pd e 5 Stelle di indicare Conte per la premiership. In sostanza, in nessun passaggio c’è stata – o si è resa necessaria – la copertura istituzionale del capo dello Stato e tantomeno Mattarella ritiene che debba esserci in futuro. In poche parole, proprio la natura dell’intesa ridurrà al minimo il suo intervento sulle scelte. Questo non vuol dire che ci sia una distanza critica del Colle su quello che fu l’Esecutivo Monti ma le differenze sono sotto gli occhi di tutti. A cominciare dalla maggioranza che non nasce sotto la spinta di un’emergenza finanziaria ma per il tentativo di far proseguire la legislatura e soprattutto con un capo del Governo che è stato indicato dal partito di maggioranza relativa e accettato dal Pd, non scelto dal presidente della Repubblica. Ma al di là di quello che è stato il senso dell’incarico conferito, l’attenzione di Mattarella resta sia sul fronte dei numeri della maggioranza in Senato (che sulla carta ci sono ma che i giochi parlamentari rendono fluidi) sia in vista dell’esercizio delle sue prerogative in particolare nella nomina di quattro ministri, Economia, Esteri, Interni e Difesa. Questioni di cui è ben consapevole Conte che però si trova davanti soprattutto un ostacolo: il nodo dei vicepremier. E qui la questione della natura politica del Governo slitta verso una questione ben più cruciale che pongono i Democratici: il ruolo di parte di Conte. Per loro lo schema che c’è stato fin qui di un premier con due vice, evoca una sorta di terzietà del presidente del Consiglio che verrebbe preservata se una casella fosse affidata al Pd e una ai grillini. Così lui manterrebbe una posizione di garante che gli consentirebbe di ritagliarsi un’immagine più istituzionale e l’allure quasi da capo dello Stato che dirime conflitti tra partiti e parla di umanesimo e di pacificazione. Sarebbe come aprirgli un’autostrada in termini di consenso che lo renderebbe molto competitivo nella prossima battaglia elettorale. Non è un caso che i grillini abbiano scommesso su di lui per risalire la china. E dunque per il Pd deve essere chiaro che il premier deve mettere la faccia sulle scelte dei 5 Stelle e indossare la giacca di partito. Ecco perché è importante smontare quello schema a tre e ripristinare una diarchia in cui se il premier è dei 5 Stelle, c’è solo un vice del Pd. Una scelta simbolica, che serve a chiarire il ruolo di Conte e a evitare al Pd di allevare, in casa, un temibile avversario. Come è stato per Salvini.