Lolite che ballano e bambine in short A caccia di like sul social dei ragazzini

E video sia, su TikTok. Con i ragazzini che ballano e le lolite che ancheggiano in perizoma. Largo alla fantasia e – come dicono quelli del sito – «alla creatività». Ai video con le battute e agli sketch di vita da adolescenti e di vita da adulti che l’adolescenza non l’hanno mai finita. Ai contest di ballo sfrenati, agli ammiccamenti, e pure al pubblico ludibrio, talvolta consapevole e sempre devastante. Inseguendo l’unica cosa che conta davvero e in nome della quale si sacrifica tutto: i paganissimi «like»: più ne hai e più sei popolare. E più sei popolare e più sei figo. Largo alla fantasia, sì. Anche infilando nei video dei bambini – non quattordicenni – ma bambini-bambini co-attori nei «tubes» di mamme e papà religiosamente fedeli al nuovo mondo: Facebook è morto, è nato TikTok. O meglio, visto dallo schermo di uno smartphone, Facebook e il signor Zuckerberg sono finiti nelle caverne della preistoria dei social. Il nuovo – finché dura – arriva dalla Cina ed è un mondo che agita i sonni dei genitori e fa impazzire i ragazzi. E bussa sugli app store: TikTok. Ecco, raccontare oggi che cos’è questa app con 600 milioni di utenti tra Usa, Europa e Cina è entrare in una realtà che non ti aspetti. Perché è disponibile in 150 mercati e in 75 lingue; all’inizio del 2018 è stata una delle applicazioni più usate al mondo. Nella prima metà del 2018 è stata la più scaricata da Apple store a livello globale. Su Facebook trovi le fotografie del cibo, scopri l’edonismo nelle foto delle vacanze a Minorca o nel viaggio organizzato a Skopelos. Incroci le visioni politiche del vicino di casa, che discetta di governi e di Europa mentre sta pitturando di bianco le pareti del bagno. Roba vecchia. Su TikTok no. Ci sono già i figli del vicino che ballano in salotto. Tubes, si chiamano così i video, che hanno durata brevissima: da 15 secondi a un minuto. E trovi la figlia del professore di lettere che – con il fidanzatino e in shorts stracorti – regala imperdibili perle di saggezza discotecara. Trovi la bambina di 12 anni che tenta di ballare. E sembra ancora più piccola della sua età, ed è impacciata nelle magliette della Ovs mentre tenta di muoversi sulle note di «Young Manny». È Tik ToK, appunto, App cinese che da luglio è finita nel mirino del garante della privacy del Regno Unito. Lo racconta il Guardian, e non è l’unico caso al mondo. A febbraio TikTok ha accettato di pagare 5 milioni e rotti di dollari in accordo con la Federal Trade Commission degli Stati Uniti per aver raccolto illegalmente informazioni personali dai bambini. «Roi des Rats», youtuber notissimo in Francia, ha lanciato strali contro la nuova moda. E c’è chi dice che crea dipendenza. Disimpegna. Invita a non pensare attraverso un ballo, un ammiccamento, un video curioso dal Pakistan. Dalla Cina replicano che tutto questo non è vero. O se lo è, è solo in minima parte, come su tutti i social. E raccontano che in Italia anche un programma come Zelig è presente sulla app. Il motivo? Tra milioni di video potrebbero celarsi i nuovi comici, i nuovi fenomeni da tv, appunto. E ci sono anche alcuni calciatori. O personaggi comunque famosi. Gente che «fa tendenza». E dicendo questo si smonta la tesi che il nuovo social è «soltanto» il regno dei ragazzini. Vero: non ci sono soltanto adolescenti . Ma resta il fatto che è la app dei mminorenni e puoi iniziare ad usarla già quattro anni prima di prendere la patente. Già mentre stai finendo le scuole medie. Ma, se sei più piccolo, al momento dell’iscrizione cambi la data di nascita e va bene lo stesso: tanto la app non è l’ufficio anagrafe. Non puoi mentire invece sulla faccia, sul fisico, sulla voce. Sei giovane, formosa e metti gli shorts, al mare il tanga, e hai la maglietta che lascia intuire il seno e hai labbra grandi? Hai fan, like e una quantità di gente che ti scrive in privato. Sei un po’ troppo in carne? I venti secondi di video del quattordicenne (?) italiano e decisamente obeso che si lancia in piscina ha 256 commenti. E molti tutt’altro che simpatici. «Ma è un maschio o è una femmina?» «Hai visto che costume? Ma dove lo ha comprato?» «Stai a casa». È un continuo. Alternato a commenti di chi prova difenderlo, o invita a smettere con il linciaggio e gli insulti, con il risultato di rilanciare sempre commenti sui difetti fisici. Non basta: TikTok, e finito al centro di polemiche per cyberbullismo. «È meglio mia nonna in carrozzella» scrive tal Vincenzo a tal Eli che dice di essere del 2002, ma se guardi le sue foto la vedi col vestito della prima comunione nel giardino di casa. Confermando l’opinione di chi dice che qui si incentiva «una visione delle donne piegata su stereotipi sessuali. Inoculandola nel cervello dei minori». E mentre adulti e sociologi commentano, la app spopola. Dalla Cina spiegano che sul tema sicurezza si fa molto, che ci si può difendere da intrusioni non volute, bloccare commenti inibendo a monte l’uso di certe parole. Insomma: si lavora sulla sicurezza perché il social vale miliardi. E il nuovo mondo non può permettersi di esser battuto da bulli e molestatori. Facebook è il passato. Twitter non è per tutti. Snapchat non piace più. Resta TikTok, l’ultima «community» di chi vuol mettersi in mostra. — cBY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI Dottoressa Barbara Volpi, lei si occupa di psicologia dinamica e in particolare di educazione digitale, cosa pensa di Tik Tok? «E’ un social network che utilizzano soprattutto le ragazze dai 14 anni in su. A mio avviso è molto pericoloso perché, come tutti i social e le app, dal momento in cui le usiamo trasmettiamo dati. Per cui c’è bisogno che i genitori siano consapevoli di questo. Si gioca, ma come tutti i giochi online, nasconde anche dei pericoli. Ci sono anche fatti di cronaca eclatanti. Adulti che si celano dietro falsi profili e iniziano a instaurare rapporti virtuali con le ragazze con il rischio di manipolarle». Quale ruolo può avere l’educazione nell’evitare queste trappole della rete? «Il cellulare in Italia si dà in mano a ragazzi di 10 anni. Prima, però, occorre far crescere i ragazzi in una cornice educativa che promuova un uso responsabile e consapevole della rete. Occorre impostare l’educazione digitale in una traiettoria che segua il bambino dalla nascita fino all’adolescenza partendo dal nostro buonesempio,conoscendoirischi e i pericoli e sfruttandone le potenzialità degli strumenti digitali. La scuola ha un ruolo molto importante nel dare un’educazionedigitalecorretta: con gli strumenti digitali si può davvero lavorare e aiutareiragazziapensare.Ilproblema è: dobbiamo aiutare i ragazzi a pensare a quello che stannofacendo». Quale effetto hanno i “like” sullo sviluppo dei ragazzi? «Instaura una sorta di competizionema anche una forma di controllo dell’altro. Molto spesso con Tik Tok, come altri social, i ragazzi sono supportati nella logica di volere tutto e subito. In adolescenza è normale volere tutto e subito e il webè un grande rivelatore dei bisogni dell’uomo. Non bisogna dimenticare che l’uomo ha creato i social. Lo ha fatto Mark Zuckerberg nel 2004 con Facebook. La logica che c’è dietro è: se io sono seguito, vuol dire che valgo. In realtà, questo non è vero: per valere devoscendereincampoemettermiindiscussione.Nonsempre i “like” portano alla consapevolezza eall’autostima chei ragazzi in questo momento di crescita e di svincolo dal genitore vogliono. E’ un tipo di consenso che a livello celebrale stimola livelli di dopamina e di eccitazione simili a quelli di chi compie gesti estremi. Lo schermo da un lato ci protegge,dall’altroinvececicatapultainunmondoenorme». Cosa fare per aiutarli? «Ricordiamo che sono sempre degli strumenti è l’uso che ne viene fatto a costituire il problemareale.