Lucrezia Reichlin
Le misure annunciate dalla Banca centrale europea (Bce) giovedì danno un segnale fermo ai mercati. Confermano che l’istituto di Francoforte rimane impegnato a rispettare il suo obbiettivo di inflazione vicino, sebbene al di sotto, del 2% nel medio periodo. A luglio l’inflazione era data all’1.1% per il 2019, bene al di sotto del target. Se la Bce non si fosse mossa, il mercato l’avrebbe interpretato come un segnale che l’1% è tollerato, e avrebbe aggiustato le aspettative di conseguenza. Perché è così importante questo segnale? Le aspettative del mercato, dei cittadini e delle imprese condizionano la determinazione dei prezzi e l’inflazione si sarebbe ulteriormente indebolita. Questo è successo in Giappone negli anni 90: la conseguenza è stata che Tokyo non è più riuscito a sollevarla, nonostante un uso massiccio (ma tardivo) del quantitative easing (gli stimoli monetari) e del debito pubblico arrivato a oltre il 200% rispetto al Prodotto interno lordo. Il risultato è che la crescita ristagna. La maggiore arma di Mario Draghi contro chi vorrebbe attendere a rilanciare misure di stimolo all’economia è proprio basata sul mandato a combattere un’inflazione debole mirando alla stabilità dei prezzi.
L’ inflazione debole è, d’altro canto, il motivo principale di preoccupazione per l’economia europea e non solo. Le previsioni dei mercati danno l’indice dei prezzi nell’eurozona tra cinque anni ancora all’1.7% nonostante il messaggio forte di Draghi e la continuità che presumibilmente Christine Lagarde, che lo sostituirà dal primo novembre, darà alla politica monetaria della Bce. Perché questa sfiducia? La ragione fondamentale è una profonda e persistente avversione al rischio da parte di chi investe. Le banche finlandesi erogano oggi mutui a tassi negativi. Questo vuole dire che sono disposteapagare chi prende soldi in prestito per comprarsi una casa!Non solo, i titoli del Tesoro della maggior parte dei Paesi europei hanno oggi tassi negativi, e così è per oltre il 30% delle obbligazioni con un rating alto. Le banche tedesche e francesi preferiscono essere tassate e parcheggiare i depositi sul conto della Bce piuttosto che prestare alle imprese e all’economia reale in genere. E questo perché la domanda di credito corretta con il rischio è bassa. Gli studi della Bce dimostrano che una buona parte di questa tassa viene scaricata sulle aziende, che, nonostante ciò, preferiscono tenere la liquidità eccedente in forma di depositi invece che investire. Il debito oggi è molto conveniente — ne sa qualcosa il settore pubblico italiano — ma chi lo può chiedere, perché ha un profilo a basso rischio, continua a mostrare «timidezza», mentre agli altri che presentano maggiori rischi le banche non lo danno. Ci sono molte ragioni per questa avversione al rischio. In parte l’invecchiamento della popolazione, in parte l’incertezza dovuta a mutamenti tecnologici di cui non si capisce veramente la portata, e naturalmente l’incertezza legata a un ordine mondiale che fa i conti con la fine dell’egemonia esclusiva degli Stati Uniti. In Europa c’è qualcosa in più. La crisi ha lasciato ferite e diffidenze reciproche. Questo fa sì che non riescaabeneficiare interamente delle opportunità del mercato unico e di un grande spazio finanziario integrato. La nuova commissione europea sta provando a dare un messaggio di fiducia, ma la sua credibilità dipenderà dalle politiche che si metteranno in campo e, naturalmente, dai governi dei Paesi membri. Nulla è scontato. Ma senza questa fiducia ogni bazooka della Bce potrebbe alla fine dimostrarsi inutile. Sono due gli scenari possibili. Il primo — virtuoso — è un rilancio del progetto europeo che passi anche attraverso uno stimolo di tipo fiscale da parte dei Paesi come Germania e Olanda che hanno lo spazio per farlo o, ancora meglio, da parte di uno strumento federale che possa spendere a debito finanziandosi con un bond garantito da tutti i Paesi dell’eurozona. Attribuisco bassissima probabilità a questa seconda ipotesi, ma la prima non è impossibile. Se siverificasse, crescita e inflazione dovrebbero ripartireeil ruolo della politica monetaria potrebbe così ridimensionarsi. Il secondo — pessimista — è che la Bce rimanga da sola a fornire lo stimolo necessario. In questo caso Christine Lagarde dovrebbe considerare politiche fin qui inesplorate: acquisti di titoli azionari, tassi ancora più negativi, trasferimenti di liquidità direttamente nelle mani dei cittadini. Forse ci si arriverà, ma sarebbe una strada piena di insidie in cui difficilmente il consenso che ha sostenuto — se pur difficilmente — la Bce in questi anni potrebbe durare. L’indipendenza della Bce sarebbe messa in discussione e dovremmo immaginare una nuova impalcatura dell’euro in cui la Banca centrale di fatto farebbe sia politica monetaria che fiscale.