Marco Rogari e Gianni Trovati

Non sono le indicazioni sommarie dei primi programmi giallorossi a poter segnare un drastico cambio di rotta rispetto al governo gialloverde che sta chiudendo i battenti. Ci penseranno i prossimi consigli dei ministri a chiarire quanto cambierà il percorso: dicendo addio alle ipotesi di Flat Tax che hanno dominato il dibattito negli ultimi mesi, rimettendo mano a quota 100 e definendo il restyling dei decreti sicurezza come chiesto dal Quirinale. Molto dipenderà anche dalla presenza di un capitolo dedicato alle imprese, su cui si sono concentrate le ultime riunioni di ieri insieme ad agricoltura e welfare, con il progetto di assegno unico per la famiglia. Tra le ipotesi il ritorno dell’Ace, lo sconto fiscale per gli investimenti, all’interno di un rilancio del piano industria 4.0. Anche da lì potrà passare il ripensamento rispetto all’impostazione dei programmi gialloverdi. «Per uscire dalla crisi serve un’alleanza forte con le imprese» ragiona Graziano Delrio, che da capogruppo Pd alla Camera è stato in prima fila nel lavoro di costruzione del programma. Per il resto, nei testi ufficiali dei nuovi piani di governo, invece, la «discontinuità» è decisamente più sfumata. Per due ragioni. Il bilancino di precisione utilizzato per costruire un’alleanza inedita fra Pd e M5S, nemici giurati fino a ieri e collocati su fronti opposti con il Conte-1 non ha permesso di andare molto oltre i confini del generico. E la situazione dei conti italiani non consente voli di fantasia: ecco che i giallorossi puntano su «una politica economica espansiva senza compromettere l’equilibrio di finanza pubblica», come i gialloverdi evocavano un «appropriato e limitato ricorso al deficit». Ma una volta costruito il governo programmi di questo tipo fanno in fretta a uscire dal cono di luce. E le scelte operative si imporranno. Il Conte-2 si dovrebbe tenere lontano dal 3% di deficit a cui puntava la Lega per far partire la tassa piatta. Per la nuova agenda di politica economica dovrebbe bastare molto meno, anche grazie alla correzione dei conti operata a luglio. La linea, insomma, sarà vicina a quella del Conte-1 tracciata dall’asse fra Palazzo Chigi e Mef, e lontana da quella chiesta dal Carroccio. All’atto pratico, il cambiamento dovrebbe esercitarsi prima di tutto sul terreno delicato della previdenza. Sull’orizzonte dei programmi tramonta l’addio alla legge Fornero, che aveva fatto alzare le barricate a Bruxelles, sostituito da una probabile revisione di quota 100 per far quadrare le cifre della legge di bilancio. Un’inversione a «U» che darebbe argomenti anche al cambio di atteggiamento in Europa. Per il resto, la ricerca di differenze fra il Green New Deal evocato dall’alleanza M5S-Pd e la Green Economy prevista dal contratto M5S-Lega rischia per ora di trasformarsi in un esercizio teorico. Dal cuneo fiscale allo stop all’Iva, dalla semplificazione amministrativa alla cittadinanza digitale, dovranno essere decreti e leggi a provare davvero un cambio di rotta. Nei programmi, questi temi sono presenze fisse, sempre uguali. Lo stesso dovrà accadere, presto, sui migranti. Quando nelle prossime settimane il Conte-2 dovrà scrivere nuovi articoli e commi per sostituire le parti dei decreti sicurezza più indigeste al Quirinale. Se si rimane ad agende politiche e contratti, invece, le differenze sfumano: i giallorossi, come i gialloverdi, chiedono una «forte risposta europea», per non lasciare l’Italia da sola sulla prima linea, e la lotta al traffico illegale di persone. Una differenza, stando ai testi circolati finora, c’è: i giallorossi citano l’integrazione, assente dal contratto M5S-Lega, e non i rimpatri, su cui invece il programma del Conte-1 aveva messo una certa enfasi. È anche vero però che nei 14 mesi di governo di rimpatri ne sono stati fatti pochi. Una variante cruciale arriva per il taglio dei parlamentari: che andrà accompagnato da una nuova legge elettorale come chiesto dal Pd. E le leggi elettorali, lo insegna l’esperienza recente, sono decisive nel disegnare le dinamiche delle alleanze.