Mario Ajello

Agli amici dice: «Sarà una delle esperienze più importanti della mia vita». E gli amici gli dicono: «Paolo, tu conosci bene il tedesco. E non sai quanto ti servirà». Ma certo che Gentiloni lo sa. E quasi prevedendo, con larghissimo anticipo il suo ingresso nella squadra di Ursula, durante le vecchie riunioni della Margherita ogni tanto diceva: «Devo andare via». Ma dove vai?, gli chiedevano. E lui: «A lezione di tedesco». Ora s’è avviato a Bruxelles, in uno dei posti top della commissione Ue. Ed è il pallino per la politica estera, di uno tutto Clinton o Terza Via o comunque da sempre appassionato dei grandi scenari internazionali che molti suoi colleghi non sapevano o non volevano vedere, ad averlo portato lassù. In questi giorni, quando qualcuno lo chiamava al telefono per sapere degli sviluppi della crisi, del gioco dei dem, dell’accordo con M5S, Gentiloni rispondeva parlando di Boris Jonhson, dell’Hard Brexit, degli equilibri e degli scontri tra i conservatori inglesi e di temi così. «Ma hai visto che cosa sta accadendo nelle piazze di Hong Kong?». Ecco, più appassionato alle mosse di Lavrov, ministro degli esteri di Putin, che a quelle di Grillo o magari di Di Maio, ministro degli esteri di Conte. «E il Mediterraneo?». E già con la necessaria stabilizzazione della Libia e con i discorsi, mai altamente staccati dal concreto della politica, dei trattati, degli accordi, sul ruolo dell’Europa e dell’Africa e via dicendo. E dunque, Gentiloni in questa nuova fase da player internazionale scelta per lui è un topo nel formaggio. Con Angela Merkel ha rapporti più che cordiali, quasi amicali, e di reciproca stima. Anche dopo che ha smesso di fare il premier, Frau Angela lo ha invitato e consultato a Berlino. Dicendo di lui: «Ha lo sguardo giusto». E’ mosso da una «curiosità pazzesca»: così dicono i pochi con cui sta condividendo la gioia, per il compito importantissimo che va a ricoprire. In cima alla Commissione Ursula, se ottiene come è probabile il super-portafoglio degli Affari economici. Per il quale serve la capacità mediatrice e tutto il patrimonio di rapporti che Gentiloni detiene – ieri lo hanno chiamato tutti: Frau Angela, Timmermans, Moscovici, Gualtieri e vari ministri di questo governo e di quello che ha presieduto lui, i commissari uscenti e quelli entranti, Confindustria, i sindacati e via dicendo – e da questo punto di vista si può stare sicuri. Quel che servirà, e di cui Paolo il morbido dovrà dotarsi e lo farà felpatamente, sarà un piglio assai deciso su tutte le questioni europee compresa quella della crescita necessaria dell’Italia che passa dalla lotta contro il rigorismo. Ossia l’afflato europeista di Gentiloni non dovrà fermarsi al risaputo, ma andare oltre, stupire, spiazzare: contribuendo a dare alla Ue quella spinta che in questi anni non ha avuto. Come ex premier ha uno standing alto Gentiloni. E si racconta che nella telefonata avuta ieri con Gualtieri – a cui Gentiloni ha dato una mano nell’ultima campagna elettorale per le Europee – il titolare del Mef abbia scherzato: «Paolo, io dovrò trattare con te la flessibilità per l’Italia». Intanto ha annullato l’impegno al forum di Cernobbio ma ha mantenuto quello di sabato sera: sarà al Castello di Santa Severa, per ricevere un premio per il suo impegno europeista. Celebrato ieri anche da Renzi, che gli ha fatto i complimenti per la carica Ue e Gentiloni gli ha risposto con un tweet: «Grazie Matteo». E pace fatta. Ora c’è il paradosso del meno entusiasta per l’accordo grillo-dem che diventa la punta di diamante di questo esecutivo in Ue e il volto dell’Italia che a Bruxelles sono pronti a considerare un’amica ritrovata. «Amo l’Italia e l’Europa e sono orgoglioso dell’incarico ricevuto. Ora al lavoro per una stagione migliore». Questo il tweet auto-motivazionale di Paolo. E chi avrebbe mai detto che il Pd, non molto in salute in Italia, si sarebbe preso – almeno sulla carta – anche l’Europa.

ROMA Agli amici dice: «Sarà una delle esperienze più importanti della mia vita». E gli amici gli dicono: «Paolo, tu conosci bene il tedesco. E non sai quanto ti servirà». Ma certo che Gentiloni lo sa. E quasi prevedendo, con larghissimo anticipo il suo ingresso nella squadra di Ursula, durante le vecchie riunioni della Margherita ogni tanto diceva: «Devo andare via». Ma dove vai?, gli chiedevano. E lui: «A lezione di tedesco». Ora s’è avviato a Bruxelles, in uno dei posti top della commissione Ue. Ed è il pallino per la politica estera, di uno tutto Clinton o Terza Via o comunque da sempre appassionato dei grandi scenari internazionali che molti suoi colleghi non sapevano o non volevano vedere, ad averlo portato lassù. In questi giorni, quando qualcuno lo chiamava al telefono per sapere degli sviluppi della crisi, del gioco dei dem, dell’accordo con M5S, Gentiloni rispondeva parlando di Boris Jonhson, dell’Hard Brexit, degli equilibri e degli scontri tra i conservatori inglesi e di temi così. «Ma hai visto che cosa sta accadendo nelle piazze di Hong Kong?». Ecco, più appassionato alle mosse di Lavrov, ministro degli esteri di Putin, che a quelle di Grillo o magari di Di Maio, ministro degli esteri di Conte. «E il Mediterraneo?». E già con la necessaria stabilizzazione della Libia e con i discorsi, mai altamente staccati dal concreto della politica, dei trattati, degli accordi, sul ruolo dell’Europa e dell’Africa e via dicendo. E dunque, Gentiloni in questa nuova fase da player internazionale scelta per lui è un topo nel formaggio. Con Angela Merkel ha rapporti più che cordiali, quasi amicali, e di reciproca stima. Anche dopo che ha smesso di fare il premier, Frau Angela lo ha invitato e consultato a Berlino. Dicendo di lui: «Ha lo sguardo giusto». E’ mosso da una «curiosità pazzesca»: così dicono i pochi con cui sta condividendo la gioia, per il compito importantissimo che va a ricoprire. In cima alla Commissione Ursula, se ottiene come è probabile il super-portafoglio degli Affari economici. Per il quale serve la capacità mediatrice e tutto il patrimonio di rapporti che Gentiloni detiene – ieri lo hanno chiamato tutti: Frau Angela, Timmermans, Moscovici, Gualtieri e vari ministri di questo governo e di quello che ha presieduto lui, i commissari uscenti e quelli entranti, Confindustria, i sindacati e via dicendo – e da questo punto di vista si può stare sicuri. Quel che servirà, e di cui Paolo il morbido dovrà dotarsi e lo farà felpatamente, sarà un piglio assai deciso su tutte le questioni europee compresa quella della crescita necessaria dell’Italia che passa dalla lotta contro il rigorismo. Ossia l’afflato europeista di Gentiloni non dovrà fermarsi al risaputo, ma andare oltre, stupire, spiazzare: contribuendo a dare alla Ue quella spinta che in questi anni non ha avuto. Come ex premier ha uno standing alto Gentiloni. E si racconta che nella telefonata avuta ieri con Gualtieri – a cui Gentiloni ha dato una mano nell’ultima campagna elettorale per le Europee – il titolare del Mef abbia scherzato: «Paolo, io dovrò trattare con te la flessibilità per l’Italia». Intanto ha annullato l’impegno al forum di Cernobbio ma ha mantenuto quello di sabato sera: sarà al Castello di Santa Severa, per ricevere un premio per il suo impegno europeista. Celebrato ieri anche da Renzi, che gli ha fatto i complimenti per la carica Ue e Gentiloni gli ha risposto con un tweet: «Grazie Matteo». E pace fatta. Ora c’è il paradosso del meno entusiasta per l’accordo grillo-dem che diventa la punta di diamante di questo esecutivo in Ue e il volto dell’Italia che a Bruxelles sono pronti a considerare un’amica ritrovata. «Amo l’Italia e l’Europa e sono orgoglioso dell’incarico ricevuto. Ora al lavoro per una stagione migliore». Questo il tweet auto-motivazionale di Paolo. E chi avrebbe mai detto che il Pd, non molto in salute in Italia, si sarebbe preso – almeno sulla carta – anche l’Europa.