Maria Teresa Meli

All’inizio non era questa la sua partita. Fosse stato per lui non avrebbe scelto il campo da gioco del governo senza aver prima rinnovato la squadra parlamentare con le elezioni. Ma quando poi si è deciso ad andare avanti, Nicola Zingaretti, almeno finora, non ha sbagliato le sue mosse. È riuscitoadomare Luigi Di Maio: ai primi diktat del leader 5 Stelle si è rivolto direttamenteaGiuseppe Conte. Non solo: dopo essere stato preso alla sprovvista dall’uscita pubblica di Matteo Renzi contro le elezioni e a favore di un nuovo governo conigrillini, Zingaretti, almeno finora, ha «gestito» anche il difficilmente controllabile ex premier, che alla fine ha dovuto affidare nelle mani del segretario la guida della trattativa con i5Stelle. Adesso per Zingaretti viene il passaggio più delicato: far capireaConte che con il Pd deve scendereapatti, che del Pd dovrà tener conto, che senza il Pd il suo governo non andrà da nessuna parte. Il segretario ragiona così con i suoi: «Noi ovviamente chiediamo al premier di essere presidente di garanzia, ma ciò non significa che lui sia super partes. È stato scelto e indicato dai 5 Stelle. Loro continuano a negarlo ma questoèaddirittura offensivo e porterà solo a polemiche e frizioni perché si nega l’evidente. Noi rispettiamo Conte, ma avremmo fatto altre scelteeora se lui vuole costruire un rapporto vero con noi deve capire certe cose e tenerne conto…». Ossia, deve comprendere che la richiesta del Pd di avere un solo vice premier non riguarda il desiderio di accaparrarsi un’altra poltrona, ma rappresenta una garanzia in più perché questo governo possa durare. È ovvio che Zingaretti, oggi, nel caso in cui sui vice premier Conte rilanciasse con altre proposte, non impedirebbe la nascita dell’esecutivo. Maèaltrettanto chiaro che il Partito democratico si sentirebbe meno impegnato e con le mani un po’ più libere. Zingaretti, del resto, è convinto di riuscireaportare tutto il Pd su questa linea. «A parte le polemiche — spiega ai suoi — il partitoèpiù unito, forteecentrale di un anno fa. A settembre del 2018 era al 15 per centoealle ultime Europee del maggio scorso era al 22,7. La mia scelta dell’unità alla fine paga e ci ridà un ruolo. Basta con l’ossessione su chi si intesta prima qualcosa, basta competizione interna e lotte fratricide del passato. Soprattutto dopo le due ultime direzioni c’è stato un salto in avanti in positivo». Eachi tra i suoi guarda con diffidenza all’operazione con i grillini spiega. «È vero, il governo è una vera scommessa. Comunque dei risultati li ha già ottenuti: ha fermato una deriva pericolosa di Salvini, interrotto un governo drammaticoefatto calare lo spread». Ma Zingaretti guarda già al futuro. E dice ai fedelissimi: «Noi non ci chiuderemo nella dimensione del governo, ma rilanceremo il rinnovamento del Pd». Sì, il segretario sa bene che deve puntare sul rilancio se vuole, come vuole, riuscireavincere la sfida delle Regionali con Matteo Salvini. Sarebbe un’assicurazione per la vita: a quel punto nessuno nel partito lo contrasterebbe più. Certo, è vero che nel frattempo ha perso per strada Carlo Calenda. Ma alla fine anche la rottura con l’ex ministro potrebbe volgersi a suo favore. Infatti, se Calenda costruisse un partito che guarda più al centro, prendendo i consensi dei Pd delusi dall’accordo con i5Stelle, ma anche degli elettori di Forza Italia che ritengono chiusa l’esperienza degli «azzurri», sarebbe veramente un male per il Pd? Tanto un movimento politico del genere con chi potrebbe allearsi se non con il Partito democratico? Alle elezioni se la maggioranza giallorossa non riuscisse a varare la riforma elettorale, o in Parlamento se invece passasse il ritorno al proporzionale, che, in realtà, è il grande collante di grillini e Pd.