Marzio Breda

La svolta è maturata in extremis. Ventiquattr’ore prima che abbia inizio il gran consulto fissato al Quirinale per oggi e dopo che Sergio Mattarella aveva fatto sapere che non avrebbe concesso spazio a veti incrociati, doppi forni, tatticismi, incertezze e, insomma, a quello scenario di dilazioni infinite trascinatosi per 89 giorni, nel 2018, quando nacque il governo gialloverde annichilito l’8 agosto dalla Lega di Salvini. Ecco spiegata la fretta imposta dal Colle ieri, che qualcuno ha interpretato come un brutale ultimatum piuttosto che come un termine ragionevole, date le emergenze da cui è stretta l’Italia. Il capo dello Stato voleva infatti capire se, e quanto, 5 Stelle e Pd stanno facendo sul serio. La risposta lo ha tranquillizzato e gli ha permesso la stesura di un calendario di incontri cadenzati con il ritmo necessario a chiudere il negoziato appena instradato. Un ritmo che posticipa a domani sera, davanti a lui, l’accordo definitivo tra i due potenziali alleati. Altrimenti il presidente avrebbe aperto e chiuso veloci e platoniche consultazioni in un solo giorno, prendendo atto dell’inesistenza di maggioranze alternative, formando un governo di garanzia elettorale (che andrà a farsi votare la sfiducia in Parlamento) e sciogliendo subito la legislatura. La garanzia fondamentale, per Mattarella, è ovviamente venuta dall’intesa sul nome di Giuseppe Conte per Palazzo Chigi. Sarà lui, d’ora in poi, a doversi preoccupare dei ministri e della parte programmatica, elevandosi dal ruolo di «avvocato del popolo» a quello di negoziatore in proprio. Tutto lascia prevedere che si torni all’antico, dando una prova di «discontinuità» che probabilmente non dispiacerebbe al Colle. Sarebbe dunque superato il modello del «contratto» (oggetto di quelle tignose interpretazioni fra partner che hanno stressato il Paese e pure il Quirinale), mentreèprobabile che, com’è sempre stato, siano fissate nel patto soltanto le grandi questioni e la filosofia generale per affrontarle di volta in volta. Sul tema immigrazione, per esempio, è pensabile che la durissima politica salviniana venga corretta in senso umanitario. Ma moderatamente, senza esagerare. L’altro nodo critico che 5 Stelle e Pd dovranno sciogliere davanti al capo dello Stato, per trasmettergli un’idea di solidità e una prospettiva di lunga durata, è quello della composizione dell’esecutivo. E qui si naviga ancora a vista. Si vorrà insistere sullo schema dei due vicepremier, il tandem Di Maio-Salvini che con il Conte-1 avevano un po’ ilruolo da «guardiani del premier»? Oppure ci si accontenterà di un sottosegretario unico, che riassumerebbe su di sé un grande potere?Eper i dicasteri chiave, dall’Economia agli Esteri agli Interni, si pensa a figure adeguate? Sono aspetti sui quali il futuro governo andrà domani alla prova del Quirinale. Dove, per inciso, è già stata messa in conto la minaccia della piazza agitata ieri sera da alcune forze della destra. Dopo le follie delle scorse settimane, è la cosa che preoccupa meno.