Massimo Franco
Matteo Salvini ringrazia. Per il leader della Lega, l’uscita dal Pd della pattuglia di Matteo Renzi è un regalo provvidenziale. Gli permette di additare la maggioranza tra il partito di Nicola Zingaretti e il Movimento Cinque Stelle come una costruzione già traballante; e di provocare il neoministro degli esteri grillino, Luigi Di Maio, sapendo che è l’anello debole dell’esecutivo. Ma soprattutto, la lacerazione restituisce a un Salvini sconfitto nella «sua» crisi e imbarazzato dall’uso strumentale di una bambina sul palco di Pontida, la possibilità di tornare all’attacco. E puntando più in alto. In un gioco di sponda forse involontario ma oggettivo, con una manovra spregiudicata Renzi offre al capo del Carroccio un’arma sia contro il premier sia contro il capo dello Stato. Non pare vero, al Carroccio, di poter dire a un Quirinale ineccepibile nella gestione della crisi aperta da Salvini: «Penso che Mattarella doveva far scegliere. Di fronte a quello che vediamo, non sarebbe stato più democratico, costituzionalmente corretto, trasparente, far scegliere gli italiani?». Costituzionalmente corretto no, e nemmeno democratico, visto che esiste un Parlamento. Ma la propaganda leghista promette di avere presa in un elettorato confuso. La nota informale diffusa ieri da Palazzo Chigi mostra un Conte irritato e sorpreso da uno strappo renziano consumatosi poche ore dopo avere incassato ministri e sottosegretari. Tra le righe si leggono la delusione e la preoccupazione di chi si ritrova un problema in più. E non solo perché gli scissionisti cercheranno di esercitare il loro piccolo potere di ricatto. Il premier teme l’imbarazzo e l’agitazione che l’alleanza forzata con Renzi alimenterà nel M5S. Dover trattare con Zingaretti è una cosa. Trovarsi tra gli interlocutori anche il vecchio nemico è un trauma, per i grillini. «Di Maio dice che non cambia nulla. È il ministro Vinavil, incollato alla poltrona», infierisce Salvini. E indica «porte aperte» a chi è deluso da un Movimento che dopo avere sognato la rivoluzione «ora fa accordicchi con Renzi e Zingaretti». E pazienza se dietro all’ex segretario e ex premier si snoda una pattuglia di seconde e terze file. È vero, il grosso del Pd osserva la scissione con una miscela di rabbia e di sollievo, perché da tempo guardava a Renzi come a un dirigente divisivo. Tra l’altro, la posizione di rendita è indebolita dal terrore renziano di elezioni anticipate. Ma l’ennesima frattura a sinistra riconsegna l’immagine di un governo già precario, e in prospettiva più litigioso del previsto. Legittima la sfida salviniana nelle piazze, e l’accusa alla maggioranza di spartirsi «poltrone e sofà». Da ieri e per i prossimi mesi contrastare questa narrativa sarà più difficile, per Conte; e forse anche arrivare tranquillo alla fine della legislatura.