Si torna a scuola e molti studenti americani trovano novità: sistemi di videosorveglianza con telecamere installate ovunque. La sola contea di Broward in Florida ne ha installate ben 13 mila nei suoi istituti. Per reagire subito in caso di attacchi armati, si dice, ma anche per studiare i comportamenti dei ragazzi, cercando di individuare in anticipo quelli che potrebbero ricorrere alla violenza. Il tutto affidato non a un custode distratto davanti a una ventina di monitor ma a un’intelligenza artificiale specificamente addestrata che registra tutto. Alcuni di loro non saranno sorpresi: hanno già sperimentato qualcosa di simile durante i tornei sportivi nei quali vengono usati sistemi di riconoscimento facciale. Da Avigilon a Ibm si moltiplicano le imprese che offrono sistemi intelligenti di sorveglianza delle comunità e gli Stati, dalla Georgia al Missouri, che li acquistano a piene mani per le scuole. Ma la videosorveglianza ormai si diffonde ovunque: dalle compagnie aeree che hanno cominciato a usare il riconoscimento facciale agli imbarchi in aereoporti importanti come Las Vegas o Dallas in Texas, a Baltimora continuamente «radiografata» dal cielo dai droni della polizia in missione anticrimine. Da San Francisco alle scuole di New York ci sono amministrazioni che frenano in attesa di regole temendo abusi, ma il rapido sviluppo della tecnologia e il calo dei suoi costi favorisce la rapida diffusione di sistemi penetranti di sorveglianza la cui efficacia ai fini della sicurezza è tutta da dimostrare. Vale soprattutto per le scuole dove queste tecniche che ricordano la «polizia predittiva» del film Minority Report suscitano dubbi inquietanti: ragazzi scrutati di continuo raccogliendo informazioni che potrebbero essere usate in vari modi dagli insegnanti o, addirittura, essere sfruttate commercialmente. Non si tratta solo di uso economico «abusivo» dei dati. Il rischio è che, come in Cina, anche in America la sorveglianza della polizia diventi sempre più massiccia e ubiqua. Il Wall Street Journal ha appena raccontato che, mentre il governo si dice impegnato a difendere la riservatezza dei dati personali dei cittadini, l’Fbi preme per avere accesso ai dati delle società che analizzano il Dna per ricostruire le origini familiari e continua a incalzare anche i social media.