Maurizio Belpietro

So che l’idea non piacerà affatto a Stefania Craxi, ex parlamentare di Forza Italia, ma soprattutto figlia di Bettino. Ma il progetto politico che ha in testa Matteo Renzi si riassume in tré parole: Ghino di Tacco, ovvero lo pseudonimo usato dallo scomparso segretario del Psi per i suoi editoriali sull’Auanti. Non so perché l’esponente socialista si fosse scelta quella strana firma, forse perché gli piaceva l’idea di un Robin Hood che esigeva il pedaggio dai vescovi diretti a Roma. O forse perché, stretto tra De e Pci, si sentiva proprio come quell’imbattibile guerriero, schiacciato tra Stato pontificio e Repubblica di Siena. Sta di fatto che Ghino di Tacco, più noto corne il brigante di Radicofani, rapinava chiunque passasse nei pressi del suo torrione. Ecco, Renzi vuoi fare lo stesso. Non gli importa quanto avrà il suo parti- tino. Se il 3 per cento come immagina il sondaggista di Youirend o il 5 per cento come dice Alessandra Ghisleri: gli interessa solo di farlo fruttare e di prendersi più posti possibili. L’ex segretario del Pd, che ora se ne vuole andare dal Pd portandosi dietro una pattuglia di deputati e senatori, vuole essere riconosciuto ufficialmente come azionista del governo che ha contribuito a fondare, E come tale si vuole pappare una fetta di utili. Che poi in politica non sono i soldoni che pretendeva il brigante di Radicofani dai prelati in viaggio con l’obolo da versare al Papa, ma il potere: cioè poltrone da riservare a uomini di provata obbedienza al Giglio magico. La telefonata che Renzi ha fatto l’altra sera al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, non è stata di cortesia. L’ex premier ha chiamato il premier in carica non per salutarlo, augurargli buon lavoro e giurargli fedeltà anche fuori dal Pd. No, quella conversazione era semplicemente un avviso al capo del governo: occhio che da ora in poi devi trattare con me e non con Nicola Zingaretti, perché è da qui, da una Pontassieve che somiglia molto al torrione di Radicofani, che devi passare se vuoi andare avanti. Naturalmente, come è nel suo stile, Renzi ha ammantato la decisione di uscire dal Pd di parole dolci come il miele: «C’è un futuro bellissimo». M a grattando via il dolcificante si comprende che cosa ha in serbo. Per capirlo è sufficiente rileggere due righe in cui l’exsegretario spiega che ad andare con lui nel nuovo partito sarà appena una trentina di parlamentari. «Non dico che c’è un numero chiuso, ma quasi». Ovvio, Renzi non ha bisogno di portarsi dietro tutti i renziani con cui ha gonfiato le liste elettorali nel 2018: ne prende un po’, tanto per raggiungere il numero che gli serve a tare gruppo e a sedersi al tavolo delle trattative a Palazzo Chigi. Gli altri li lascia in eredità a Zingaretti, a fare danni dentro il Pd. Anzi, per essere più precisi, a tenere in ostaggio il poveretto che ha preso il suo posto alla guida del partito. 11 governatore del Lazio si è fatto infinocchiare con la storia del governo di salute pubblica, fatto per stoppare Matteo Salvini e l’aumento dell’Iva, e una volta caduto nella trappola, paga dazio al signorotto di Radicofani. Pardon, di Pontassieve. Già, perché al Senato Zingaretti avrà un capogruppo che invece di rispondere a lui risponde direttamente a Renzi e alla Camera il flebile Graziano Deirio non riuscirà certo a opporsi al fuoriuscito. Risultato, oltre a controllare direttamente il suo parlilo, trattando da leader e non da senatore semplice di Scandicci, Renzi avrà in pugno le redini pure del Pd: un capolavoro di furbizia che soltanto un allocco poteva non immaginare. Ma il Pinocchio di Rignano non ha fatto secco solo il segretario del Pd. Dell’inganno sono rimasti vittima almeno altri tré. Il primo è certamente Giuseppe Conte, il quale era convinto di averla scampata bella e di essersi finalmente liberato di quel matto di Mat- teo Salvini. Invece, adesso, è alle prese con un altro matto, che perdi più nell’ambiente è conosciuto per non fare prigionieri. Se Chino di Tacco tagliò la testa al giudice Benin- casa, c’è da aspettarsi che prima o poi Renzi la tagli a chi gli fa ombra e l’avvocato del popolo di ombra all’ex premier ne fa parecchia. Tra gli allocchi c’è poi di sicuro anche Beppe Grillo, che era convinto di aver Eatto l’affare della vita a stringere un patto con Zingaretti e adesso al suo posto si ritrova «l’ebetino di Firenze», il giovane vecchio che non voleva neppure ascoltare perché rappresentava i poteri marci. Ora, a ridere, non sarà più il vecchio comico, ma Renzi, che si godrà lo spettacolo di un ritorno a Canossa. Pardon, a Radicotani-Pontassieve. Da ultimo, tra i gabbati, ci abbiamo messo Luigi Di Maio, che l’accordo con il Pd non lo voleva fare perché temeva l’abbraccio con Zingaretti. D’ora in poi gli. abbracci li dovrà riservare all’uomo che credeva di aver battuto e ogni volta dovrà augurarsi che l’abbraccio non sia mortale, Infine, a essere fatti fessi sono anche gli italiani, che credevano di aver sconfitto Renzi nel 2016, al referendum, e poi alle amministrative e infine alle politiche. Ma uscito dalla porta, Ghino-ren- zino è sempre rientrato dalla finestra e adesso si è seduto a tavola, pronto a spartirsi la torta. Oggi dunque ride, ma il signorotto di Pontassieve dovrebbe ricordare che, dopo alterne vicende, la storia di Radicofani non finì bene.