Maurizio Molinari
L a coincidenza di tempi fra la nascita della nuova Commissione europea e del governo Conte bis offre l’occasione di rispondere su più fronti alla sfida del populismo che tiene banco sul Vecchio Continente dal referendum sulla Brexit nel 2016. L’occasione nasce dal fatto che la Commissione Ue guidata da Ursula von der Leyen e il nuovo esecutivo presieduto da Giuseppe Conte hanno tre elementi in comune. Il primo è la genesi politica perché la Commissione è l’espressione del voto alle elezioni europee nel quale i partiti tradizionali hanno respinto l’assalto delle forze populiste mentre il Conte bis è frutto di un accordo politico-parlamentare contro la Lega di Salvini che aveva partecipato da protagonista proprio a quell’assalto. Il secondo è nei contenuti del programma perché Von der Leyen ha messo in cima all’agenda clima, difesa, democrazia, crescita e “modo di vita europeo” disegnando una cornice che include il “New Green Deal” e la lotta alle diseguaglianze di cui ha parlato Conte alla Camera illustrando i propri obiettivi. Infine il terzo, e cruciale, fattore di convergenza: tanto Von der Leyen che Conte sono consapevoli che l’onda della protesta del ceto medio è molto alta, il rischio di fallire è reale e se ciò avvenisse populisti e sovranisti avrebbero gioco facile a imporsi come una valanga a Bruxelles come a Roma.
A tali e tante coincidenze bisogna aggiungere che il percorso del Movimento Cinquestelle – il più grande partito populista dell’Europa Occidentale – verso il centro è iniziato con il voto a favore di Ursula von der Leyen all’Assemblea di Strasburgo e la conseguente svolta pro-Ue che ha reso possibile il patto di governo con il Pd e l’invio a Bruxelles dell’ex premier Paolo Gentiloni, divenuto titolare del più importante portafoglio – l’Economia – mai ottenuto dal nostro Paese nella Commissione. Da qui l’interrogativo su come Von der Leyen e Conte possano lavorare assieme per far coincidere l’interesse collettivo dell’Ue e quello nazionale italiano. La risposta obbligata è nel trovare una risposta condivisa alle due ferite del ceto medio che alimentano la protesta populista: le diseguaglianze e i migranti. Sulle diseguaglianze Bruxelles è in terribile ritardo, manca di una strategia d’azione e perfino di una teoria di giustizia economica per affrontarle così come sui migranti ha la grave responsabilità di non essersi finora data una politica comune di accoglienza e integrazione. E l’Italia è ancora più indietro, su entrambi i fronti, essendo stata governata per 14 mesi da un esecutivo populista-sovranista che ha tentato di cancellare le diseguaglianze con un ideologico annuncio sulla “sconfitta della povertà” ed ha risposto alla sfida dei migranti limitandosi a trattarli da pericolosi avversari, senza neanche affrontare il tema dell’integrazione. Se Ursula von der Leyen riuscirà a spingere la Commissione a sfidare i suoi tabù e Giuseppe Conte sarà capace di passare dall’ideologia gialloverde al pragmatismo, Bruxelles e Roma potranno lavorare assieme per un’Europa più prospera e sicura. Ma entrambi dovranno mostrare di possedere la dote che più di ogni altra distingue i leader: il coraggio di osare.