Maurizio Molinari
Il contenuto della telefonata del presidente Donald Trump al premier Giuseppe Conte testimonia la volontà della Casa Bianca di investire sul nuovo governo di Roma. È una scelta che si spiega con quanto sta avvenendo in Europa dove l’Italia è un Paese di frontiera fra l’Occidente e i suoi temibili rivali del XXI secolo: la Russia e la Cina. Davanti alla platea di Cernobbio l’ex capo della Cia David Petraeus ricorre alla definizione “Seconda Guerra Fredda” per descrivere la sfida strategica di Pechino e Mosca al patto transatlantico mentre lo storico scozzese Nail Ferguson preferisce adoperare l’espressione “Tech War” per sottolineare come l’aspetto cyber ne sia la caratteristica prevalente. Questo spiega perché il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg è impegnato a preparare il summit dell’Alleanza di dicembre a Londra con un tema all’ordine del giorno: come rispondere alle rivalità sempre più aggressive di Russia e Cina, accomunate dalla volontà di cambiare lo status quo internazionale a loro favore, indebolendo Europa e Stati Uniti. I quattordici turbolenti mesi di governo gialloverde hanno relegato l’Italia ai margini del dibattito interno alla Nato su come rispondere alle sfide di Russia e Cina ma ora che Conte guida un nuovo esecutivo c’è l’opportunità di recuperare in fretta il terreno perduto.
Anche perché mentre sul fronte di Bruxelles la nomina di Gentiloni alla commissione Ue, Gualtieri al Tesoro ed Amendola agli Affari europei inviano segnali rassicuranti ai partner sulla volontà di partecipare alle riforme dell’Eurozona, sul fronte transatlantico restiamo invece fra i Paesi più distratti nel sostenere la missione di Stoltenberg di adattare la Nato alle nuove minacce strategiche. Da qui l’importanza di quanto avvenuto negli ultimi giorni nei nostri rapporti con Cina e Russia. L’irritazione di Pechino nei confronti di Conte per l’adozione – nel primo consiglio dei ministri del nuovo governo del Golden power sulla partecipazione di aziende straniere ad appalti della rete 5G lascia intendere che Xi Jinping ha interpretato l’adesione formale dell’Italia alla “Nuova Via della Seta” come la genesi di un patto politico simile a quello siglato con Grecia e Ungheria. Ovvero capace di estendere la zona di influenza cinese nel Vecchio Continente. Così come la detenzione nel carcere di Poggioreale del manager russo Aleksandr Korshunov – su mandato di cattura Interpol per spionaggio industriale anti-Usa – solleva il dubbio che nel nostro Paese sia stata creata di recente una rete di agenti russi impegnati a raccogliere informazioni sensibili. A conferma della volontà del Cremlino di sfruttare le crisi politiche interne nei Paesi europei per far avanzare i propri interessi strategici. In entrambi i casi il premier Conte, affiancato dal neo-ministro degli Esteri Luigi Di Maio, si trova ad affrontare questioni di primaria importanza: nel caso del 5G si tratta di definire nuovi standard di sicurezza nei rapporti con Pechino per evitare di soccombere in una “Tech War” nella quale il vantaggio cyber dei cinesi sull’Occidente rischia di consolidarsi mentre sul presunto spionaggio russo si tratta di resistere alle pressioni del Cremlino – che vuole riottenere in fretta il sospetto agente – e fare quadrato con Washington nella guerra segreta che la oppone a Mosca in più Continenti. Da come Conte gestirà le tensioni in atto con Pechino e Mosca sarà possibile comprendere in che maniera il governo si pone rispetto all’alleanza transatlantica e quale valore assegna al vertice Nato di fine anno. E poiché il capo della Farnesina è Di Maio, leader dei Cinquestelle portatori di ben note istanze terzomondiste, il test per lui è ancora più evidente: ha l’occasione di dimostrare in fretta quale valore assegna alla Nato.