Michele serra
Siamo tutti dalla parte di Lino, l’adolescente di Scampia che deve fare a meno delle sue trecce blu se vuole tornare a scuola. Tutti ma proprio tutti. Dalla parte di Lino è anche la sua preside, e proprio per questo gli ha detto di lasciare fuori dalla classe le sue trecce. Cerca di spiegare a Lino che essere meno visibile, meno spettacolare, più uguale agli altri, non significa essere meno Lino. Riusciranno i nostri eroi (Lino, la sua preside, le sue trecce recise, la sua famiglia) a risalire la china che tutti quanti abbiamo ciecamente disceso, negli ultimi anni? È la china dell’esibizionismo, dell’interrotto one-man-show del quale siamo protagonisti, del “guardate qua! guardatemi, vi supplico!” nelle sue infinite varianti, le gragnuole di tatuaggi, le acconciature spiritose, i post cretini, l’incessante fotografarsi con risatine e con boccacce (ma le foto normali, dove cacchio sono finite?), l’apprendistato da star al quale ogni essere umano, donna e uomo, si sottopone a dispetto degli esiti, quasi sempre imbarazzanti. Come se non esserlo (star) equivalesse a morire. Come se non fosse vita, una vita normale. In una società nella quale gli adulti per primi, pur di farsi notare, sono disposti a qualunque ridicolaggine, qualunque nefandezza, un adolescente è dieci volte meno colpevole. Verrà un giorno (lo speriamo tanto, io e la preside di Scampia) nel quale per distinguersi dal conformismo degli adulti diventerà indispensabile essere normali. Mi feci crescere i capelli, a sedici anni, in opposizione ai capelli corti, con rigorosa sfumatura sulla nuca, di tutti gli adulti. Speriamo che Lino si accorga, prima o poi, che non c’è adulto in circolazione, da Scampia al Polo Nord, che non abbia le treccine blu.