Paolo Mastrolilli
I l G7 di Biarritz, comunque vogliamo metterlo, difficilmente passerà alla Storia come un evento memorabile per l’Italia. Ci siamo arrivati nelle condizioni peggiori, ossia una crisi di governo che ha rimarcato la nostra tradizionale instabilità, e quindi non sarebbe giusto scaricare la responsabilità sul premier dimissionario, o sulla macchina diplomatica costretta a gestire una situazione assai difficile in un vertice segnato dalle divisioni. Però i fatti sono testardi. Conte è stato l’unico leader del G7 con cui Trump non ha previsto un bilaterale formale. Il ministro degli Esteri iraniano Zarif, grande sorpresa del vertice e ambiziosa mossa diplomatica di Macron, ha sottolineato via Twitter di aver visto l’ospite francese e condotto un briefing con britannici e tedeschi, dimenticando noi, che pure abbiamo enormi interessi nel suo paese. Non abbiamo partecipato alla conferenza sul Sahel, cioè la principale regione di transito dei migranti, nonostante la retorica prevalente in Italia sia che dovremmo aiutarli a casa loro. Trump ha discusso di Libia nei bilaterali con Macron e Merkel. Eravamo al G7 per eredità, ma l’impressione è che anche le questioni più vicine a noi vengano decise dagli altri, salvo poi assegnarci qualche compito di aiuto. Le crisi di governo accadono pure negli altri paesi e hanno una funzione nelle democrazie, ma la percezione è che il problema sia più profondo e duraturo. Le responsabilità hanno molti padri e vengono da lontano, perché a suo tempo non entrammo nel 5+1, mentre sul Sahel siamo fuori dal G5. Ma se le radici del declino sono profonde, a maggior ragione i nostri leader dovrebbero analizzarle con serietà per trovare i rimedi, mentre tutto ciò che abbiamo fatto ultimamente sono state aperture un po’ avventate a Cina e Russia, urtando i tradizionali alleati americani. Chi dice che i dazi a Pechino o la stessa Brexit sono problemi lontani, dovrebbe misurare i punti di pil che ci faranno perdere, oltre ai rischi geopolitici che rievocano gli spettri di scontri militari. Quanto all’euro, il nostro unico vero obiettivo pare quello di poter tornare a svalutare la liretta, per incapacità genetica di comportarci da persone credibili, ignorando quanto nel frattempo sia cambiato il mondo, dove un paese diviso e formalmente ancora in guerra come la Corea del Sud ha quasi raggiunto il nostro pil. L’ondata sovranista degli ultimi anni ha motivazioni profonde che andrebbero affrontate con soluzioni concrete, come la crisi economica più dura e lunga in Italia che altrove, le diseguaglianze, il fenomeno epocale delle migrazioni. Siamo da decenni un paese a crescita demografica negativa e sarebbe ora di chiederci il perché. Quando però l’ondata sovranista sarà passata, ammesso che nel frattempo non faccia danni irreparabili, la globalizzazione sarà ancora qui. Non perché l’hanno voluta sinistri banchieri o imprenditori egoisti, ma perché sta nelle cose, grazie agli spettacolari progressi dell’umanità su temi come le comunicazioni, i trasporti, la riduzioni della povertà. Davvero crediamo di poter continuare a prosperare nell’isolamento, o grazie alla nuova Via della Seta? La speranza è che i leader del prossimo governo abbiano ben chiara questa emergenza, altrimenti il declino a cui ci stiamo destinando diventerà irreversibile. Da qui la necessità che l’Italia rifletta, tutti insieme, sul declassamento globale a cui ci stiamo condannando, e sui danni che ciò comporta per le prospettive presenti e future del nostro Paese.