Riccardo Luna
Lo avete sentito anche voi il botto? È caduto Negroponte. Il grande Nicholas Negroponte. Quello che ha insegnato a tutti come sarebbe stata la vita con Internet quando ancora nemmeno sapevamo cosa fosse la rete. Il guru dei guru. Non è inciampato. Peggio. Insomma, stava parlando al MediaLab del Mit di Boston, nell’istituto che ha fondato e diretto per vent’anni e di cui ancora, a 75 anni, è presidente emerito non solo per le idee brillanti che ha avuto ma anche perché ogni mattone qui, ogni router, è stato pagato con la montagna di soldi che ha saputo raccogliere nel tempo. Stava parlando con una certa passione e quella sua soave capacità affabulatoria che ne ha fatto uno degli oratori più richiesti del mondo, e all’improvviso gli studenti lo hanno contestato, di brutto; una ragazza si è anche messa a piangere per quello che aveva ascoltato, c’è stata una baraonda, una docente gli ha urlato “stai zitto, Nicholas”, qualcuno gli ha sentito mormorare “ingrati!” e poi Negroponte si è dileguato. Sparito. Dissolto. Come se fosse stato un ologramma. Come fosse stato davvero fatto di bit e non di atomi, come qui amano dire. Alle otto di sera del 4 settembre al sesto piano di questo edificio scintillante e trasparente dove si vedono robot e droni ovunque, dove respiri un futuro bellissimo negli sguardi di chiunque, non si parlava d’altro. Teoricamente era la festa di apertura dell’anno accademico ma non era andata esattamente come previsto. Il deejay continuava a proporre musica che nessuno aveva voglia di ballare. Erano tutti lì, sul terrazzo con vista sul fiume, a parlare di “Nick”, e della reputazione del MediaLab e di questa brutta storia di Jeffrey Epstein che rischia di travolgere le migliori istituzioni accademiche americane. Epstein, il miliardario accusato – con prove schiaccianti – di aver messo su un giro di prostitute minorenni per sé e per i suoi amici potenti. Quello che secondo una ricostruzione incredibile fatta da quattro testimoni pensava di usare il ranch del New Mexico per mettere incinta più donne possibili e spargere il suo Dna nella razza umana. Quello che si è misteriosamente, e secondo molti, provvidenzialmente ucciso in carcere ad agosto, quando le donne che avevano iniziato a raccontare le sue violente perversioni erano iniziate a spuntare ovunque. Ecco, Epstein. Finanziava alcune delle grandi università americane. Harvard in testa: sei milioni e mezzo di dollari. E il MediaLab del Mit. Perché lo faceva, è esattamente il motivo perché adesso a Boston si interrogano se in questi anni non si sia sbagliato tutto. Troppa vicinanza al potere? Troppa indulgenza in cambio di finanziamenti alla ricerca? Il rapporto fra Epstein e alcuni dei migliori scienziati americani lo raccontano così: lui era un giovane professore di fisica di New York che per una serie di circostanze si ritrova a fare il finanziere a Wall Street quando la Borsa vola e fa un sacco di soldi. Nel 2008 viene condannato per aver fatto sesso con una 14enne. Tredici mesi in carcere. Quando esce ha ancora tanti soldi ma una reputazione da ricostruire. Si rivolge a un mitico agente letterario, John Brockman, che gli dice in sostanza: investi negli scienziati, sono le nuove rockstar. Finanzia qualche ricerca sul cancro, sostieni la genomica, battiti contro il cambiamento climatico. Epstein lo fa e trova le porte aperte, anzi spalancate. Sostiene ripetutamente di donare circa 20 milioni di dollari all’anno alla ricerca e nel curriculum si definisce “filantropo della scienza”. Epstein arriva naturalmente anche al MediaLab del Mit dove Negroponte dal 2011 ha incoronato Joi Ito, un brillantissimo imprenditore giapponese di 45 anni che non si è mai laureato. Bello schiaffo all’accademia, no? Ito fa benissimo come capo del MediaLab, ma prende i soldi di Epstein, per il Mit e anche per i suoi fondi di venture capital con cui investe in startup. Quando Epstein si uccide, la cosa viene fuori e molti ne chiedono le dimissioni; Ito si scusa solennemente, promette di restituire ogni dollaro ma non basta; Ethan Zuckerman, una star del MediaLab, attivista dei diritti civili, lascia per protesta. Non il solo. E arriviamo al 4 settembre. Alla festa di apertura dell’anno accademico. C’era Joi Ito naturalmente, che ha chiesto scusa di nuovo ma figurarsi se si dimette; qualcosa cambierà nel suo corso però, al posto di “etica” che francamente appare esagerato, insegnerà awareness, consapevolezza: Ecco, meglio. C’era Zuckerman che ha augurato il meglio per il MediaLab senza di lui. E alla fine, pur senza essere in scaletta, ha preso la parola Negroponte. Ha rivendicato il suo ruolo di «uomo bianco ricco e privilegiato che conosce personalmente l’80 per cento dei miliardari d’America», grazie ai quali il MediaLab è un paradiso per giovani scienziati. E visto che tutti sanno che è stato lui a presentare Epstein a Ito, ha scandito la frase: «Oggi gli direi ancora di prendere quei soldi. Lo ri-fa-rei». Secondo il resoconto fatto a caldo dalla rivista del Mit, lo rifarebbe pur sapendo delle recenti accuse. Secondo la lettera che Negroponte ha mandato qualche ora dopo al Boston Globe, lo rifarebbe senza sapere delle accuse. Ma nei capannelli della sera, molti studenti si chiedevano: qual è la differenza? Epstein era già stato condannato nel 2008 per lo stesso reato. Joi si deve dimettere, e Nicholas con noi ha chiuso.