Roberto D’Alimonte
Le crisi politiche, così come quelle economiche, creano spesso nuovi scenari. È quello che sta succedendo in questa fase convulsa della nostra vita politica. Il dato più importante del sondaggio pubblicato Domenica scorsa su questo giornale non è il calo di cinque punti nella stima delle intenzioni di voto della Lega. È il fatto che oggi la maggioranza assoluta degli elettori del Pd (62%) e la maggioranza relativa di quelli del M5s (43%) sono disponibili ad accettare un governo formato dai due partiti. Non era così fino a poco tempo fa. È la crisi e lo scontro con Salvini che hanno avvicinato i due elettorati. La stessa cosa però non è ancora avvenuta, quanto meno non nella stessa misura, a livello di militanti. Questo è vero soprattutto all’interno del Movimento. Su questo non abbiamo dati, ma solo dichiarazioni e impressioni ricavate dai social media. A differenza dei suoi elettori, la base militante del Movimento fa più fatica a digerire un accordo di governo con un partito che ha rappresentato per anni l’antitesi del Movimento. In un certo senso si può dire che il M5s è nato contro il Pd che era visto come parte integrante di un sistema da abbattere. Ma agli albori il M5s era un fenomeno di nicchia. Poi è diventato un movimento di massa. Una trasformazione così rapida che ha sorpreso i suoi stessi protagonisti. Alle elezioni del 2013 ha preso più di 8 milioni di voti, diventando di punto in bianco il primo partito italiano. Cinque anni dopo gli elettori sono diventati addirittura più di 10 milioni. Oggi sono molti meno, ma sempre tanti e più del 40% di loro preferisce un governo con il Pd ad altre soluzioni. Molti dei militanti però sono ancora quelli di una volta. L’imprinting iniziale è difficile da modificare. Per questo un voto tramite Rousseau su un eventuale accordo con il Pd è un problema. Sulla piattaforma non votano i milioni di elettori del M5s ma qualche migliaio di militanti. Elettori da una parte e militanti dall’altra. Per ogni organizzazione partitica che miri a conquistare un consenso ampio la contrapposizione è quasi sempre inevitabile. Mutatis mutandis, è il problema con cui è alle prese oggi il partito democratico negli USA dovendo scegliere un candidato alla presidenza che sia appetibile alla sua base progressista, ma che sia anche capace di raccogliere consensi tra gli elettori più moderati. Nel caso del M5s il candidato in grado di tenere insieme elettori e militanti sembra essere Giuseppe Conte. L’insistenza del Movimento sul suo nome non è solo una questione di principio. È una necessità legata alle divisioni che lo stanno lacerando. Grazie alla credibilità che si è conquistato e all’appoggio esplicito di Grillo, Conte rappresenta all’interno del Movimento un punto di equilibrio che nemmeno lo stesso Di Maio può più garantire. Tutto è ancora possibile in questo momento. Altre sorprese potrebbero essere dietro l’angolo. Ma intanto il Pd ha fatto cadere il veto su Conte. Se questa decisione verrà confermata, si realizzerà una condizione necessaria per la nascita del governo Pd-M5s. Quanto però questo governo possa durare è un’altra questione. Tra gli elettori del Pd e quelli del M5s su questo punto le opinioni sono molto divergenti. Infatti il 56% dei primi pensa che possa durare fino alla fine della legislatura, mentre solo il 34% dei secondi condivide questa opinione. Evidentemente molti elettori del Movimento, che pure preferiscono l’alleanza con il Pd ad altre soluzioni della crisi, si rendono conto delle difficoltà del progetto e del rischio che possa fallire in tempi brevi. Non c’è dubbio che questo rischio esista. Molti fattori giocano contro, a partire da una situazione economica che non promette nulla di buono. Ma ce ne sono altri che giocano a favore. Alcune delle questioni politiche più spinose, come la TAV, non sono più sul tappeto. Ed è molto probabile che la commissione europea dimostri nei confronti di un governo senza la Lega una maggiore disponibilità sui conti. Ma, in prospettiva, la durata dell’eventuale governo Pd-M5s è legata soprattutto al fatto che nessuno dei due alleati ne esca perdente a livello elettorale. Per questo sarà importante vedere in che misura il programma dell’eventuale esecutivo rappresenterà un punto di equilibrio tra i temi che “appartengono” al Pd e quelli che “appartengono” al M5s e ai suoi militanti. Se Conte verrà confermato presidente del consiglio sarà questo uno dei suoi compiti più delicati. Se ci riuscirà, potrebbe contribuire a gettare le basi di un nuovo bipolarismo.