Roberto Fico

O rmai si è abituato alla cravatta, e anche alle stanze che sono tutte un affresco. L’estate, Roberto Fico, l’ha passata soprattutto lì, nel suo ufficio a Montecitorio, a tessere la tela di un governo che sembrava impossibile. “È stato un lungo lavoro, ma alla fine sono lieto di essermi trattenuto” sorride il presidente della Camera. Quanto è stato difficile? Il Pd la voleva a Palazzo Chigi. Io ho lavorato innanzitutto per le istituzioni. Durante una crisi di governo, per prassi, il presidente della Camera diventa un “c o n si g l i e r e ” e un aiuto del capo dello Stato. Serviva una soluzione: non credo che si sarebbe fatto un servizio al Paese andando a votare dopo un anno e mezzo. Il Pd era più che favorevole a sostenerla. Forse era il M5S a non volerla davvero. Da presidente della Camera avevo il compito di lavorare per la soluzione della crisi e non per fare io il presidente del Consiglio. E comunque sono onorato di avere il ruolo che ho: tengo moltissimo a portarlo avanti. Quanto al Movimento, il suo nome per Palazzo Chigi era quello di Conte. Io stimo il presidente del Consiglio, arrivare a lui è stato un ottimo punto di caduta. Era anche l’obiettivo di Beppe Grillo, che in un sabato di agosto scrisse che era necessario trattare con il Pd. Eravate state avvertiti? Quello è stato un postdi Beppe in qualità di garante del Movimento. Aveva compreso che Matteo Salvini, con scarso rispetto della Costituzione, pensava di avere già le elezioni in tasca. Grillo ha valutato che c’era un programma da portare avanti, partendo da temi come l’ambiente. E ha scritto che bisognava provare un’altra strada. È stata la miccia? Il pensiero di Beppe ha creato un grande dibattito, e da lì è scaturito il percorso. Non era così condiviso nel Movimento. Quando vi siete riuniti a Marina di Bibbona con Grillo, Di Maio e Di Battista non erano affatto convinti dell’accordo con il Pd. C’è stato un dibattito: le opinioni diverse servono a costruire una strada. E il lavoro del gruppo parlamentare è stato fondamentale. Votare l’accordo sulla piattaforma Rousseau ha rischiato di mettere in difficoltà il Quirinale. Ne valeva la pena? Andava fatto, perché noi abbiamo consultato gli iscritti in tutti i passaggi importanti. E poi il sì è stato plebiscitario, a conferma che la strada intrapresa è ragionevole. Anche se può sembrare una fusione a freddo, necessaria solo per evitare le urne e la vittoria di Salvini? Anche nel 2018 era nato un governo che non era stato votato dagli elettori, in un Parlamento senza una chiara maggioranza. Il M5S fece un accordo di programma con la Lega, dopo che non era riuscito a farlo con il Pd. La verità è che ha vinto la democrazia parlamentare, assieme al buon senso di portare avanti le cose da fare. Di Maio ha detto che il M5S dovrà essere “l’ago della bilancia”: vuole dire che diventerete una Dc 2.0? Non ho mai pensato al Movimento come l’antipolitica o l’antisistema. Noi vogliamo rinnovare la politica, dare forza ai temi. Ma serve la collaborazione dell’Europa: sento dire che il M5S è diventato europeista, ma la verità è che è l’Unione che sta cambiando. Nel programma del commissario europeo Von der Leyen ho visto per la prima volta in modo netto punti come la revisione del trattato di Dublino sui migranti e quella del Patto di stabilità, per favorire manovre più espansive, assieme all’impegno sulla riduzione delle emissioni inquinanti. Promesse, in parte neanche i n e d i te . Se vuoi cambiare tutto alla fine non cambi nulla. Se lavori con la politica, tra cinque anni potremo cambiare delle cose. E riusciremo a ‘contaminare’ l’Europa con nuove idee. In Italia invece il M5S dovrà fare accordi con il Pd. Come farà a trovare un’intesa sulla legge pubblica sull’acqua, a cui lei tiene moltissimo? Il Parlamento ha l’as s o lu t o dovere di dare attuazione al referendum sull’acqua del 2011: fu un plebiscito. E le banche? Voi 5Stelle per anni avete inveito contro “il partito di Mps ed Etruria”. È normale che quando inizi un lavoro con un’altra forza politica i punti su cui non sei d’accordo vanno affrontati. Il tema però è che il Parlamento deve essere centrale, perché quando le leggi vengono discusse a fondo nelle commissioni, assieme alle opposizioni, i provvedimenti ne escono migliorati e i conflitti attenuati. Per questo avevo mandato mesi fa una lettera a Conte sull’eccessivo ricorso alla decretazione d’urgenza. E sono lieto che ne abbia parlato nel suo discorso alla Camera. Dopo le Europee in un’a ssemblea lei aveva esortato i 5Stelle a ridefinire rotta e valori. Come si fa? Nel Movimento va fatta una discussione, e il perno deve essere la collegialità. Ne serve di più? Oggi il M5S è molto complesso, con una vasta partecipazione. Servono nuove forme per aumentare la collegialità, per renderla migliore. Il capo politico Di Maio vuole referenti territoriali e una segreteria nazionale distribuita per temi. Dovete davvero darvi una struttura? Sì, ma le forme possono essere tante. Quello che è necessario è uno schema di partecipazione alle scelte, non solo nei momenti di emergenza. La democrazia diretta non può bastare. È complementare, ma non sostitutiva della democrazia rappresentativa. Allearsi con il Pd nelle prossime elezioni regionali è giust o? Su quello mi rifaccio allo Statuto, che prevede la possibilità di allearsi con liste civiche. Nei 14 mesi del governo gialloverde la Rai è stata terra di co n q u i st a . Sulla Rai si può fare molto di più e molto meglio. Serve una legge sulla governance della tv pubblica, per dare impulso alla cultura dell’indipendenza. Il M5S ha perso l’anima governando con la Lega? Fin quando avrà percorsi chiari e spiegherà in modo trasparente cosa vuole fare, riuscirà a salvaguardare la sua identità.