Se per il governo le navi Ong saranno ancora i taxi del mare
Possiamo considerarlo un particolare irrilevante, e d’altra parte, da decenni ci si chiede se nel dettaglio si nasconda il Diavolo oppure Dio. Tuttavia non è forse senza significato che, tre giorni fa, il giornale radio della Rai abbia definito “esultante” — eccolo il diavoletto nel dettaglio — il ministro Matteo Salvini. Tanto entusiasmo nella settimana più rovinosa della sua vita politica si dovrebbe alla circostanza che due ministri indicati dal M5Stelle (Toninelli e Trenta) avessero firmato il decreto voluto da Salvini, per vietare l’ingresso nelle acque territoriali italiane alla nave Mare Jonio, della piattaforma Mediterranea Saving Humans.
E questo proprio mentre si stava stringendo l’accordo tra quel partito, il M5Stelle, e il Pd per dare vita ad un nuovo governo, e mentre Luigi Di Maio rilasciava una dichiarazione piuttosto inquietante: «Non rinnego il lavoro fatto insieme alla Lega in questi 14 mesi». Una frase, quest’ultima, che non induce certo a consegnare all’oblio degli archivi e della nostra periclitante memoria la brillante definizione delle ong data dallo stesso Di Maio: taxi del mare.
La questione non è meramente linguistica, anche se mai come in questo caso, “sono le parole che costruiscono il mondo”: la verità è che una parte significativa del gruppo dirigente, dei quadri e dell’elettorato Cinque Stelle condivide la politica per l’immigrazione della Lega (magari utilizzando un vocabolario meno truce), e altri, quella di Alessandro Di Battista, che si affida a una pasticciata miscela di sovranismo terzomondialista ed etnicismo regressivo, il cui esito finale è comunque lo slogan “aiutiamoli a casa loro”. Rispetto a tutto ciò possiamo immaginare quanto arduo possa essere l’intento di segnare quella profonda discontinuità così “sacrosantemente” richiesta dal segretario del Pd. È un’impresa che, oltre a essere faticosissima, esige già da subito segnali inequivocabili. E i tempi dei grandi processi economico-sociali, come l’immigrazione, sono assai più rapidi e incalzanti di quelli richiesti dalle mosse (felpate fino a essere flosce) necessarie per la costituzione del nuovo esecutivo. Anche perché la sofferenza umana arriva a bussare alla nostra porta con tutta l’urgenza dei corpi stremati e torturati: a bordo della Mare Jonio si trova un uomo di nazionalità camerunense che presenta «sette medicazioni per ferite infette alle estremità ed alle natiche (segni di torture ed ustioni chimiche)», secondo il medico di bordo, la dottoressa Donatella Albini.
Sono molte le persone che recano sulle proprie membra le tracce di trattamenti inumani e degradanti, così come, tra le 26 donne, 8 sono in stato di gravidanza e numerose quelle che hanno subito violenza sessuale.
Finora il provvedimento promesso dai ministri dimissionari è quello di consentire lo sbarco delle donne, dei 22 bambini, dei 6 minori e dei malati, ma, certo, questo non può essere sufficiente a segnalare un radicale cambiamento di rotta rispetto alla precedente politica. Non va dimenticato, tra l’altro, che nelle circostanze più recenti, l’Europa è stata meno inerte di quanto si creda (nonostante Salvini e, spesso, contro Salvini). La “redistribuzione” dei profughi è stata in qualche modo garantita, seppure in misura assai ridotta, e numerosi Paesi hanno accolto gruppi di migranti sbarcati sulle nostre coste o su quelle maltesi da imbarcazioni mercantili, dalle navi delle ong, da quelle della guardia costiera italiana. E, tuttavia, ciò ha rappresentato, è il caso di dire, una goccia nel mare. Nonostante le menzogne del governo giallo-verde, nel corso del 2019, secondo le stime dell’Unhcr, i morti e i dispersi nel Mar Mediterraneo sono stati 894; e, dopo le più recenti testimonianze, la sola idea di restituire i profughi alla Libia e ai suoi centri di detenzione grida vendetta davanti a Dio e agli uomini.
Serve una svolta vera. A partire da una intelligente politica per l’immigrazione che — come ha scritto ieri il Presidente Emerito della Consulta, Valerio Onida, sul Corriere della Sera — consenta di «aprire subito e in misura adeguata alle nostre possibilità vie di ingresso legali in Italia e quindi in Europa». Dunque, una rottura col passato, e non solo con quello rappresentato dagli ultimi 14 mesi di governo giallo-verde. Su questo — come sull’ambiente, sull’economia e sulla giustizia — verrà valutata la scelta di governo del Pd. Quella svolta, lo sappiamo, incontrerà reazioni e resistenze, ma è qui che si gioca buona parte dell’onore del Pd. Ed è questo che potrà dare, infine, nuove energie e motivazioni a chi, nonostante frustrazioni e depressioni, si voglia ancora di sinistra.