Stefano Feltri

MATTEO RENZI non è al governo, può contare su qualche ministro che passa al suo nuovo partito dopo aver ottenuto l’incarico in quota Pd, ma già pensa alle nomine di primavera, quella scadenza che è tra le ragioni della tenuta della maggioranza giallo-rossa. Avaza subito le sue proposte, dopo aver premesso che nelle nomine “non sono interessato a mettere il naso”. Nell’intervista a Repubblica Renzi si vanta che “se Enel viaggia così forte è perché abbiamo scelto un board e un CEO straordinari”, poi suggerisce di fondere insieme Fincantieri e Leonardo. C’è da scommettere che abbia anche un’idea su chi dovrebbe guidare il nuovo co l o ss o. Francesco Starace, ad dell’Enel dal 2014, è a suo modo un genio, super renziano coi renziani, pentastellato coi pentastellati (che nell’auditorium Enel hanno presentato il reddito di cittadinanza), mai inviso alla Lega. Ma il miracolo della banda larga che doveva arrivare in un attimo abbinata ai contatori dell’elettricità non c’è stato, l’infrastruttura delle “co l o n n i n e ” per le auto elettriche resta un miraggio. Renzi omette che nel 2014 lui ha anche insediato Claudio Descalzi al’Eni, ora imputato per corruzione internazionale in una vicenda all’epoca già ben nota (l’a cq u i s i z i o n e di un giacimeno in Nigeria) e che nelle carte giudiziarie intorno a quell’azienda e ai suoi personaggi più deteriori si ritrova un numero sospetto di renziani, da Luca Lotti ad Andrea Bacci. Altra grande nomina di rottura di quella tornata: Mauro Moretti a Finmeccanica, congedato senza rimpianti dopo tre anni perché occuparsi di aerei ed elicotteri è diverso che fare il monopolista delle ferrovie (a proposito, l’altro renziano Renato Mazzoncini, a capo delle Fs per fonderle con Anas, non è finito meglio). Come in molti altri campi, anche sulle nomine Renzi ha già avuto la sua opportunità di cambiare davvero le cose. E l’ha sprecata.