Stefano Lepri
SUPERARE IL PATTO DI STABILITÀM eglio non farsi illusioni. È una partita importante, ma anche facile da giocare male per l’Italia, quella che si apre con la scelta di Paolo Gentiloni come commissario europeo all’Economia. Si otterrà poco se si dà l’impressione che al nostro nuovo governo prema soltanto di fare più deficit, e l’unica differenza rispetto al precedente sia che lo chiede con le buone maniere.L e maniere cattive, certo, hanno fatto danno. Pare averlo capito Giuseppe Conte, il cui primo governo due volte ha tentato di far la voce grossa in Europa e due volte ha dovuto retrocedere, dopo aver inflitto costi pesanti al Tesoro e ai cittadini sotto forma di più alti tassi di interesse. L’economia italiana ristagna, la gente ha buoni motivi per essere scontenta. Ma, visti dagli altri Paesi i nostri politici sembrano, tutti o quasi, incapaci di offrire rimedi diversi dal contrarre nuovi debiti. Cambia la maggioranza, eppure manca il coraggio di disfare misure costose come «quota 100» e il forfait per gli autonomi, imposte dalla Lega ora all’opposizione. Davvero non esistono altre ricette? In Portogallo, i socialisti del primo ministro António Costa sono in dirittura per vincere le elezioni del 6 ottobre prossimo dopo aver quasi azzerato il deficit di bilancio senza compromettere la crescita economica. Della «flessibilità» via via introdotta nelle inizialmente dure regole di bilancio europee il nostro Paese ha già beneficiato parecchio negli anni scorsi. Gentiloni non avrà grandi margini di manovra, stretto fra il rafforzato vicepresidente Valdis Dombrovskis e un direttore generale che non sarà più l’italiano fin qui in carica, Marco Buti. Ciò che può fare l’Italia è porre, con ragionevolezza e con urgenza insieme, il problema di regole escogitate sette anni fa nel pieno della crisi e oggi non più adeguate. Il Patto di stabilità così com’è non consente né una risposta rapida al pericolo di recessione che oggi si manifesta né conforta sul futuro un’Europa dove tassi di interesse bassissimi non bastano a stimolare la crescita. Tutto il continente deve tornare ad investire, nell’interesse dei giovani. Poco può fare l’Italia, già carica di debiti, e con uno Stato che agisce tardi e male: spendere di più sarebbe rischioso e forse nemmeno tanto utile nell’immediato. L’idea migliore è il fondo comune dell’area euro proposto dalla Francia e osteggiato dai nordici. Oppure dovrebbero cominciare a spendere i Paesi che hanno pochi debiti; un loro cambiamento di rotta darebbe qualche margine in più anche a noi. Nelle ultime settimane, finalmente, di fronte al calo brusco dell’export che mette in difficoltà il modello economico tedesco, anche a Berlino si comincia a criticare l’ossessione del pareggio di bilancio; però ancora non si decide. Si può sperare in uno sblocco se l’Italia non torna a mettere alla prova la fiducia altrui. Già sabato a Helsinki, al suo primo Ecofin, il nuovo ministro dell’Economia Roberto Gualtieri troverà all’ordine del giorno le regole di bilancio. Anche i finlandesi, paladini del rigore, accettano di discutere se si possa renderle più efficaci per la stabilizzazione economica. Da lì occorre partire. Il 2020 può essere difficile per tutti in Europa, non solo per noi. Vanno esplorate le vie per reagire insieme. Se invece chiedendo «nuove regole», si cerca solo il permesso per un più alto deficit subito (magari condito da promesse grandiose per domani), si rischia, irrigidendo gli altri Paesi, di ottenere l’opposto: un duro contraccolpo.