Vladimiro Zagrebelsky

Presentando le linee politiche cui si atterrà nel suo tentativo di formare il nuovo governo, il presidente Conte ha pronunciato due parole importanti e impegnative: nuovo governo e nuovo umanesimo. Parole da prendere sul serio da parte di chi le ha ascoltate e, prima ancora, da parte di chi le ha dette. Nuovo governo vuol naturalmente dire che esso sarà diverso da quello precedente. Nuovo umanesimo richiama indicazioni di origine cattolica, che caratterizzano l’attuale papato e l’azione sia della Chiesa cattolica italiana, che della Chiesa valdese. Ne è fondamento la prassi caritativa, ma comprende anche il laico rispetto della dignità di ogni essere umano. Una dignità che riguarda chi ne chiede rispetto per sé e, nella stessa misura, chi è chiamato a riconoscerla e proteggerla negli altri. La politica governativa nei confronti del fenomeno migratorio è terreno su cui l’annunciata novità e il nuovo umanesimo troveranno realizzazione o smentita. I tratti velleitari e crudeli dell’azione del precedente governo Conte, sono sotto gli occhi di tutti. È di questi giorni l’ennesima vergogna nazionale di quella nave impedita di attraccare e sbarcare il suo carico umano. Le immagini televisive che abbiamo visto impediscono di far finta di niente. Eppure da parte del maggior partito della nuova maggioranza parlamentare, i 5 Stelle, non è venuto alcun segno di resipiscenza rispetto all’appoggio che essi hanno dato alla linea imposta dal ministro dell’Interno Salvini. Di Maio ha anzi tenuto a rivendicare «tutto» quanto fatto dal governo ora dimissionario. La questione migratoria, depurata dalla sua attitudine a scatenare la propaganda elettorale, presenta livelli e difficoltà di natura diversa, a seconda che se ne veda la dimensione globale o che si debbano affrontare i casi concreti di persone che abbandonano i loro paesi per cercare rifugio o vita migliore in un altro. Gli Stati hanno il diritto – e persino il dovere – di elaborare una politica generale, che non può essere di apertura senza regole e limiti ai milioni di potenziali immigranti. Le persone che si affacciano sul Mediterraneo, dopo tragici viaggi, sono solo la punta emergente e non necessariamente la più debole e sofferente nei paesi di origine. È giusto che l’Italia affronti il problema nel quadro europeo. Quella è la sede degli accordi con i Paesi di partenza e transito dei migranti, della attivazione di corridoi umanitari e di vie legali di immigrazione. Ma intanto nel mare davanti alle nostre coste vi sono navi che hanno raccolto persone in pericolo. Non importa che esse abbiano accettato il rischio di simili traversate. Non importa che non abbiano titolo per entrare e restare nel territorio nazionale. La concreta situazione in cui si trovano fonda il dovere di dar loro soccorso. Un dovere che ha base nelle leggi e nelle convenzioni internazionali che l’Italia ha ratificato. Ma prima di tutto ha base nei principi di umanità, cui non può rinunciare il «nuovo umanesimo» del presidente Conte. Il governo precedente ha adottato prassi disumane nei confronti di singoli migranti giunti in prossimità o nelle acque territoriali, credendo che l’esempio terribile loro riservato serva ad ammonire gli altri che attendono e sperano. E serva pure a impedire l’attività delle navi delle organizzazioni non governative e – aspetto di cui non si parla – a disincentivare tutti i mercantili che attraversano il Mediterraneo e che non vogliono certo affrontare le difficoltà di sbarcare le persone, che pur sarebbero tenuti a recuperare dal mare. Il governo ha usato quelle persone come strumento della sua politica generale. È pensabile che PD e almeno parte dell’elettorato 5 Stelle possano tollerare una simile vergogna, pur di dar corpo alla nuova, improvvisa collaborazione di governo? Poiché il presidente Mattarella ha segnalato nel recente «decreto sicurezza» criticità, minimali e di stretta logica giuridica, si affaccia ora l’idea che, per dar segno di novità, si dia seguito a quei rilievi. Limitandosi però a questo. Sarebbe non serio e non adeguato al problema di dignità nazionale che la politica del precedente governo ha creato.