Mario Deaglio

Cattiva Congiuntura 1 – Economia Italiana 0. Così si è chiuso ieri, con il giuramento dei ministri del nuovo governo, il primo tempo della “partita economica” del nostro Paese in questa legislatura. Sempre con questo giuramento, il Presidente Mattarella ha posto la palla al centro e dato il fischio d’inizio al secondo tempo. Con quali prospettive di rimonta? Per rispondere a questa domanda occorre una dura premessa: non esistono risposte facili a problemi complessi come invece si era illuso il governo precedente. Un indebolimento rispetto agli altri paesi avanzati che dura da un quarto di secolo non si cancella in pochi trimestri. Per non aver tenuto conto di questa realtà, il “bellissimo 2019” previsto dal Presidente Conte a inizio inverso si è trasformato nella minaccia di una nuova recessione a fine estate. Per contrastarla, occorre rendersi conto che lo sviluppo zero della prima metà dell’anno dipende da tre cause diverse. La prima è la “guerra mondiale dei dazi”. Iniziata dal Presidente americano Trump contro la Cina sta rallentando l’intera crescita mondiale e colpisce in maniera sensibile, anche se indiretta, un paese esportatore come l’Italia. L’Unione europea ha contrattaccato, concludendo accordi commerciali con il Canada e con l’America Latina e solo di concerto ed entro l’Unione europea un paese come l’Italia può svolgere un’azione commerciale internazionale veramente efficace. Il che è un motivo molto forte per essere più e meglio presenti a Bruxelles. Inoltre, l’esercizio del cosiddetto “golden power” da parte del governo nei confronti della cinese Huawei implica una ripresa di iniziativa di fronte all’azione di multinazionali non europee. All’“effetto tariffe” si deve aggiungere l’“effetto Germania”: lo spettro di una recessione tedesca sta rimbalzando amplificato al di qua delle Alpi. Se la Germania dovesse davvero prendere il raffreddore, l’Italia rischia la polmonite. Per questo destano un certo sollievo le dichiarazioni sia della neopresidente della Commissione, sia della neopresidente della Bce, decise a impedire un generale scivolamento economico europeo (e quindi prima di tutto tedesco). Il loro compito comincia con il sostegno all’Italia, che il cambio di governo indubbiamente facilita. La terza, e più importante, causa della crescente debolezza italiana deriva dall’imposizione di politiche inefficaci su un’economica stanca. È arcinoto, almeno dai tempi di Roosevelt, che i lavori pubblici sono il modo più rapido per rimettere in moto questo tipo di economia, si è invece preferito distribuire subito i (pochi) fondi disponibili a ceti bisognosi. Una distribuzione necessaria, certo, ma in un altro contesto: gli effetti della crescita avrebbero dovuto precederla. Nel frattempo, con il crollo del Viadotto Morandi, si è avuta la dimostrazione palpabile che i lavori pubblici sono indispensabili per la stessa vita civile prima ancora che per l’economia. Meglio quindi assicurare che questi lavori vengano svolti con rapidità, efficienza e senza irregolarità a cominciare da quelle fiscali. E le risorse recuperate dal contrasto all’evasione fiscale sarebbero ottimamente impiegate nella redistribuzione ai più sfortunati. L’intervista a questo giornale del nuovo ministro delle Infrastrutture, Paola De Micheli, mostra che una nuova sensibilità, una nuova apertura, caratterizza l’azione del governo. E le possibili modifiche ai decreti sicurezza, con una linea più realista nella gestione dei flussi migratori, indicano che questa sensibilità non è limitata al solo campo economico. Ce la faremo a ribaltare i risultati negativi del “primo tempo economico” di questa legislatura? Non è certo impossibile: nell’economia, come nel calcio, è relativamente frequente che i risultati di una partita vengano capovolti quando tutto sembra ormai deciso. Le squadre torinesi di Serie A lo hanno dimostrato in queste settimane. Perché non potrebbe provarci anche l’economia italiana?

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