Pier Carlo Padoan, da economista, ex ministro dell’Economia e deputato Pd, come commenta le decisioni della Bce? «Chela Bce continui con lasua politica espansiva è un’ottima notizia per l’Italia e per tutta l’Europa. Si useranno strumenti nuovi, il QE continua, siapurearitmileggermenteridotti, e ci sono operazioni sui tassi che mirano a ottenere il duplice obiettivo di continuare la politica espansiva ma anche di provare a proteggere i bilanci delle banche da tassi negativiomolto ridotti». Donald Trump se l’è presa con la Fed… «… e sostiene che l’Europa sta usando strumenti aggressivi. Da che pulpito arriva la predica! E’ proprio la politica commerciale Usa a generare instabilitàalivelloglobale». Le misure della Bce e quelle della nuova Commissione Ue avranno effetti concreti? «Mi auguro di sì. Ma l’Europa dovrebbe definire una strategia complessiva di crescita in cui ci sono strumenti monetari, strumenti fiscali e misure strutturali,epossibilmenteanche progressi verso un bilancio dell’Unione Europea. Perché la debolezza che sta emergendo in Europa può essere preoccupante. Si parla molto di riforma del Patto di stabilità. Può e deve essere riformato, ma in un contesto in cui l’Europavadaverso unapoliticafiscale unificata». Ora ci sarà Paolo Gentiloni in Europa. E’ una novità importante? «E’unpremioa unapersonadi altissima qualità diplomatica oltre che politica e tecnica, cheavràuncompitoimportante e difficile. Mi aspetto da lui politiche oggettive e trasparenti possibile, che renderanno migliore l’Europa, e il ruolo dell’ItaliainEuropa». Bce, Commissione, spread in caduta. Un aiuto obiettivo per l’Italia che si accinge a fare la legge di bilancio. «Sicuramente. Visto che ora i mercati hanno quasi azzerato gli80-100puntidispreadchesi potevano attribuire al rischio politico,oral’Italiapotràbeneficiare in modo molto più significativodellapoliticadellaBce». Dunque diventa più facile una politica di bilancio espansiva per l’Italia? «Lospaziofiscale,grazieaiminori pagamenti per interessi, può ulteriormente aumentare: non è detto che la caduta dello spread si fermi qui. Ma la Spagna,unpaesesimileanoidatantipuntidivista,orahatassid’interesse molto più bassi dei nostri anche nell’attuale situazione. C’èunagrossafinestradiopportunità,cheilgovernodevesfruttareconunastrategiadicrescita dimedioterminesostenibile». Eppure la lista degli sgravi, a cominciare dal cuneo fiscale, e delle misure di spesa sembra allungarsi ogni giorno. «Quanto si può fare di cuneo fiscale dipende da quanti soldi ci sono, oltre che come si fa. Bisogna disinnescare gli aumenti dell’Iva, finanziare le spese indifferibili, vedere quanto deficitsipuòcercarediotteneretramite“flessibilità”». Avverte un atmosfera di eccessivo ottimismo? «Sarebbe molto pericoloso. La flessibilitàdibilanciova“meritata”,seusatapermisurestrutturali di crescita o investimenti, non è semplicemente concessa a chi lachiede.Oltreuncertopuntola CommissioneUenonpuòandare, e se vogliamo far continuare a far scendere lo spreadbisogna farvederechelafinanzapubblicaèsottocontrollo,altrimentidiventa un boomerang. Bisogna esseremoltoprudenti». Il taglio del cuneo fiscale lo si può finanziare in deficit? «Taglidelletasseindeficitdinorma sono controproducenti. E’ meglio finanziarli con tagli di spesa.Sipuòagiresulleagevolazionifiscali:èpoliticamentedifficile, ma sicuramente il governo potrebbe fare una attenta revisione a questa fonte di mancati introitiperilPaese,equindidirazionalizzazionedellaspesa».
«Gli scontri continui con l’Europa, i proclami sui social e le assenze ai tavoli negoziali sono finiti. Si apre una fase nuova in Italia e in Europa e noi intendiamo esserne protagonisti. Fino a un mese fa si discuteva di flat tax, minibot e procedura di infrazione. Oggi i temi sono investimenti verdi, lavoro e asili nido». Se c’è un palazzo nel quale si avverte oggi forte il cambiamento rispetto al primo governo Conte e alle tentazioni anti euro della Lega, è la sede del Tesoro. «Quell’epoca si chiude», esordisce il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, che appena una settimana fa ha lasciato Bruxelles per trasformarsi da influente eurodeputato in ministro che deve gestire il secondo debito pubblico più alto dell’eurozona. Con questa promessa: «Dobbiamo riportarlo su un percorso di riduzione». E per farlo è fondamentale rafforzare il contrasto all’evasione fiscale «anche grazie alla tecnologia», così come è opportuno battersi per politiche europee per la crescita. Gualtieri spiega che nella manovra di ottobre non verranno cancellati né Quota 100, cara a Salvini, né il reddito di cittadinanza. La priorità resta disinnescare le clausole sull’Iva, spiega poco prima di salire sull’aereo per Helsinki, dove oggi e domani esordirà come ministro all’Eurogruppo e all’Ecofin con i colleghi dell’Unione. Da undici anni al Tesoro non approdava un ministro politico. Quale impronta darà al ministero e all’azione del governo? «Voglio concorrere a realizzare il programma di governo per mettere il Paese sulla strada della crescita e dell’occupazione, della sostenibilità ambientale e della coesione sociale. Inoltre mi impegnerò affinché l’Italia riprenda a esercitare da protagonista il suo ruolo di Paese fondatore in Europa». Lei ha preso la tessera della Fgci nel 1985. Come si rispecchierà nelle politiche economiche questa lunga militanza in quello che oggi è il Partito democratico? «Il discorso del premier Giuseppe Conte in Parlamento contiene importanti richiami alla Costituzione nei quali chi viene da una storia come la mia si riconosce pienamente. Il programma del nuovo governo presenta forti segni di cambiamento che cercheremo di realizzare con un impegno triennale. Vogliamo superare la stagione degli zero virgola con una visione che si concentrerà su investimenti, lavoro, uguaglianza, ambiente, giovani e donne. Il nostro progetto si costruirà anche attraverso l’ascolto del Paese, incontrando le parti sociali e produttive. Vogliamo aprire una stagione di partecipazione democratica e di riscossa civile senza la quale nessun governo, per quanto virtuoso, può realmente cambiare le cose». A quali provvedimenti sociali pensa in particolare? «Al piano per gli asili nido che punta ad azzerare le rette per i redditi medi e bassi e ad aumentare i posti a disposizione con investimenti nazionali ed europei. Non è solo una misura sociale, peraltro dai costi relativamente contenuti, ma serve anche ridurre le diseguaglianze tra le famiglie, ad accrescere l’occupazione femminile così come la competitività e la natalità». Lei punta molto sugli investimenti; come pensa di sbloccarli? «Farli ripartire è una priorità assoluta, puntando a innovazione e infrastrutture e con un focus particolare sulla sostenibilità ambientale e sociale». Investimenti in economia verde, natalità e infrastrutture. Sono le stesse priorità della nuova Commissione: è un escamotage per ottenere maggiore flessibilità sui conti a parte quella già prevista dalle regole? «Sosteniamo l’idea di un Green New Deal presente nel programma del governo e della Commissione fondato su un piano straordinario di investimenti pubblici e privati. In questo quadro sarebbe opportuno che la quota di finanziamenti nazionali ricevesse un trattamento diverso da quello attuale e venisse scorporata dal calcolo del deficit strutturale». Come cambierà l’atteggiamento del governo italiano nei confronti dell’Ue? «Il rapporto ambiguo e conflittuale della Lega con l’Europa ci è costato carissimo per i miliardi bruciati in termini di interessi sul debito, minore fiducia e minori investimenti, ma anche per una riduzione del peso politico dell’Italia a Bruxelles. Credibilità, coerenza e fiducia non solo possono darci un grande dividendo in risparmi sul pagamento degli interessi, ma sono anche decisive se si vuole incidere sulle grandi scelte europee». Di che cosa discuterà a Helsinki e che cosa si aspetta dalla nuova Commissione, dove Paolo Gentiloni è all’Economia? «Vado a discutere le politiche europee, a partire dalla necessità di una politica fiscale dell’area euro più espansiva. Per tutti e non solo per l’Italia. Gentiloni non sarà il commissario europeo alla flessibilità dell’Italia ma un protagonista del rinnovamento e del rilancio dell’Europa». Correremo ancora il rischio di una procedura Ue sul debito come a dicembre e a giugno? «Quell’epoca si chiude. Noi ovviamente discuteremo con l’Europa, ci saranno dei negoziati. Ma per affermare il nostro interesse nazionale in modo efficace bisogna sempre inserirlo nel quadro dell’interesse comune dell’Unione. Insomma, questo governo si batte all’interno delle regole ma si impegna anche per modificarle e migliorarle». Ci sarà quella riforma del Patto di stabilità europeo chiesta dal presidente della Repubblica? «All’Ecofin avremo una prima discussione. La riforma del Patto deve essere vista nel quadro di un più generale completamento dell’Unione economica e monetaria. Penso in particolare al bilancio dell’eurozona, agli investimenti comuni, alla garanzia europea sui depositi bancari e alla istituzione di uno schema di assicurazione contro la disoccupazione». Sembra una risposta poco ottimista. «A Helsinki avviamo una verifica delle regole, dopodiché si presenteranno una serie di strade percorribili. In ogni caso sarà un negoziato lungo che non riguarda certo l’attuale legge di Bilancio. Naturalmente auspichiamo un miglioramento e una semplificazione delle regole europee per ridurne il carattere prociclico e sostenere di più gli investimenti ». Come intende riuscire nella missione fin qui apparsa impossibile di tagliare il debito? «È importante mettere in modo credibile il debito su un sentiero di riduzione: sia sostenendo la crescita, sia garantendo la sostenibilità della finanza pubblica. Lo spread è già sceso molto, ma vogliamo ridurlo ancora di più per eliminare la spesa più inefficiente del nostro bilancio pubblico e liberare risorse per scuola, ricerca, infrastrutture. Faccio mia la lezione di Ciampi: credibilità, serietà e stabilità. Poi c’è anche la politica monetaria, che è fondamentale però da sola non può risolvere tutti i problemi». Come valuta il taglio dei tassi appena annunciato da Mario Draghi? «Ancora una volta Draghi ha mostrato una straordinaria capacità di assumere le decisioni necessarie nel momento giusto. Le misure approvate dalla Bce per garantire un ampio grado di stimolo monetario sono molto importanti. Credo che questo intervento debba responsabilizzare ancor di più chi in Europa decide gli orientamenti della politica di bilancio». Annullerete l’aumento dell’Iva? «Questo è l’impegno del governo». Quanto valgono i risparmi di Quota 100 e reddito di cittadinanza sul 2020 che potrebbero ridurre il conto per sterilizzare l’Iva? «Ci stiamo lavorando, non abbiamo ancora i numeri definitivi. Partiamo da quanto ereditato dal governo precedente, con l’obiettivo principale di bloccare l’aumento di 23 miliardi dell’Iva che avrebbe un impatto negativo su crescita e investimenti. Intendiamo poi avviare la riduzione della pressione fiscale per i redditi medi e bassi e per le aziende che innovano». Lo farete già con la manovra di ottobre? «La sfida è avviare una riduzione della pressione fiscale con un orizzonte di intervento sui tre anni perché i provvedimenti seri non sono spot. Di annunci e cambi di annunci nell’ultimo anno ne abbiamo visti fin troppi». Dove troverete le risorse per ridurre la pressione fiscale? «Dal contrasto all’evasione fiscale, dal controllo rigoroso della qualità della spesa e da una revisione mirata degli incentivi fiscali». Tutti i governi parlano di lotta all’evasione, ma poi i risultati sono scarsi. «Noi vogliamo lanciare un grande Patto con gli italiani per modernizzare il Paese. E uno dei pilastri è proprio quello di combattere l’evasione per ridurre le tasse su famiglie e imprese. Per farlo intendiamo avvalerci dell’innovazione tecnologica e della digitalizzazione ». La flat tax quindi è archiviata? «Assolutamente sì, archiviata. Non la faremo mai. Dava tanto a chi ha di più, mentre noi siamo il governo degli asili nido, degli investimenti e della riduzione delle imposte ai più deboli. Era ingiusta, sbagliata, insostenibile e incostituzionale perché violava la progressività, oltretutto alla base del modello sociale europeo insieme al welfare». Quota 100 resta o verrà cancellata prima della scadenza? «In un quadro di risorse scarse l’intervento sulle pensioni andava fatto in modo diverso; ma è sbagliato modificare costantemente le regole del gioco in materia previdenziale. Quota 100 ha una durata triennale e l’orientamento è lasciare che vada a esaurimento». Il reddito di cittadinanza muta? «Sarà confermato. Una verifica del suo funzionamento insieme alle parti sociali può aiutare a migliorarlo». Confermati gli 80 euro di Renzi? «Sì. Abbiamo intenzione di lavorare a una ampia riforma fiscale per sostenere i redditi medi e bassi ma per farlo ci vorrà del tempo. ». Ci sarà una patrimoniale? «Lo escludo ». Andrete avanti con le privatizzazioni? «L’obiettivo di 18 miliardi per il 2019 è del tutto irrealistico. Interventi di dismissione e la valorizzazione di parte del patrimonio pubblico sono una componente della strategia di riduzione del debito e anche, in alcuni casi, di miglioramento dell’efficienza delle società controllate. E tuttavia occorre un disegno complessivo e grande cautela perché lo Stato italiano dispone fortunatamente di grandi aziende pubbliche strategiche ed efficienti, che portano dividendi corposi e sono uno strumento importante di politica industriale. Le privatizzazioni non devono essere viste come un modo per fare cassa». Alitalia: resta il piano con l’ingresso del Tesoro e la partnership di Fs? «I commissari di Alitalia hanno individuato le controparti per una partnership strategica e industriale. Ma dobbiamo superare l’ottica del salvataggio. Il ministero delle Finanze parteciperà a livello di capitale al rilancio previsto dal piano attualmente allo studio della compagnia, che dovrà però essere un modello industriale sostenibile per un Paese che vive anche di esportazioni e di turismo».
Questo governo può essere l’incubatore di una nuova alleanza formata dal centrosinistra e dal Movimento 5Stelle. «Se lavoreremo bene, potremo presentarci insieme già alle regionali. E’ difficile, ma dobbiamo provarci. Per battere questa destra, ne vale la pena». Ecco l’orizzonte che Dario Franceschini, neo ministro dei Beni Culturali e di fatto capo della delegazione dem nel nuovo esecutivo Conte , traccia nel futuro dell’esecutivo. Il governo resterà in carica fino al 2023 ma l’obiettivo, dice, è fermare Salvini e dare sostanza politica alla scelta compiuta. La prima domanda però che tutti si pongono parlando del nuovo governo è: dureranno? «Sarà difficile, non c’è dubbio. Soprattutto se si limiterà ad essere il mero prodotto di forze politiche contrapposte. Però io penso che arriveremo fino alla fine della legislatura». Cioè più di tre anni? Sa quanti governi hanno superato la soglia dei due anni dal 1948 ad oggi? Sei. «Ne sono consapevole. Ma vedo anche le ragioni per cui è nato questo esecutivo. Sono ragioni immediate e di prospettiva». Che intende per ragioni immediate? «La situazione del Paese. Cosa sarebbe stato dell’Italia senza questa operazione? Cosa sarebbe successo alla nostra economia? E’ bastato un solo giorno in cui si è rischiato di non siglare l’accordo e lo spread è di nuovo schizzato. Saremmo nel disastro». Nella sostanza lei dice che il patto Pd-M5S starebbe salvando l’Italia da Salvini? «Non c’è dubbio. Senza questo governo, saremmo in campagna elettorale. Avremmo Salvini al Papeete ma all’ennesima potenza, magari a torso nudo a mietere il grano. Solo odio e paura. Ci troveremmo alla vigilia della vittoria della Lega. Da celebrare magari proprio il 28 ottobre». Il 28 ottobre, la marcia su Roma, la mietitura del grano. Insomma il fascismo? «Il fascismo fortunatamente non tornerà. Ma Salvini è il massimo di pericolosità democratica che si può avere nel 2019. E quel pericolo non è finito. Rimane finchè qualcuno soffia sulla paura. E noi non potevamo replicare l’errore che quasi 100 anni fa hanno commesso socialisti, popolari e liberali facendo fallire gli esecutivi Bonomi e Facta». Nel 2019, però, basta essere “contro” qualcuno per governare bene? Non ci sarebbe stato bisogno una visione alta per avvalorare questa operazione? «Il tempo era breve. Vorrei ricordare che tutto prende origine da quella frase orribile “voglio i pieni poteri”. Il Paese ha capito. Era un’emergenza e dobbiamo ringraziare Zingaretti per avere indicato la necessità di trovare una soluzione di largo respiro. Il Pd è stato unito come non mai». Scusi, ma fino a venti giorni voi e i grillini vi odiavate. E poco dopo invece parlavate di posti. E’ sufficiente Salvini a cancellare quell’odio? «Era ed è una motivazione più che sufficiente. In tutto il mondo i governi di coalizione nascono così. Soprattutto quando non c’è un vincitore unico. Certo, ora dovremo far maturare anche un percorso di visione, di prospettiva». Cioè? «Io definisco il discorso di Conte in Parlamento riformista. Il governo sarà giudicato sulla qualità dei suoi provvedimenti. E in questo lavoro si possono trovare nuove affinità. Pd e M5S devono guardare avanti. Questo esecutivo può essere un laboratorio, l’incubatore di un nuovo progetto». Lei parla di un’alleanza politica con i grillini? «Si, politica ed elettorale. Che parta dalle prossime elezioni regionali, passi per le comunali e arrivi alle politiche». Anche in Umbria a fine ottobre? «Lì le elezioni sono molto vicine, ma se c’ è la volontà poitica si può fare tutto. Per Emilia e Calabria, poi, c’è tempo. In ogni caso, la sfida è questa. So che è difficile ma se governiamo bene, evitando la logica del “contratto”, cercando sempre la sintesi allora questa squadra può diventare il seme di una futura alleanza. Per battere la destra, vale la pena provarci». Ma questa prospettiva farà impazzire il suo partito. «So che ci sono posizioni diverse da noi e nei Cinque Stelle. Io parlo di una alleanza tra tutto il centrosinistra e l’M5S». Un partito di sinistra può allearsi con una formazione il cui leader sostiene che sinistra e destra non esistono più? «Non condivido quella tesi, ma si può fare. Nel mondo ci sono molte persone che la sostengono. Anche se per me le differenze si vedono a occhio nudo. Le Pen è diversa da Macron, Merkel è diversa dalla destra tedesca. Noi siamo diversi da Salvini». Non avvertite il rischio di una mutazione genetica? «Solo chi ha paura di perdere la propria identità, si chiude. Il Pd rafforzerà la sua, Zingaretti lo sta già facendo. E comunque nessuno può pensare che le battaglie della sinistra siano ancora quelle del ‘900. Noi continueremo a difendere i deboli e il lavoro ma c’è anche – per fare un solo esempio – l’emergenza ambientale». Lei sostiene che il Pd è unito. Dopo questa intervista non lo sarà più? «Perchè mai? Ho visto che tutti hanno remato dalla stessa parte. Da Zingaretti a Renzi a Orlando». Renzi in realtà sembra a un passo dalla scissione. «Retroscena autoalimentati. Perchè dovrebbe andare via? Tutto è stato concordato anche con lui». La prospettiva di una coalizione con l’M5S come si coniuga con il ritorno al sistema proporzionale? «Ma quella è ancora da discutere. Sebbene la riduzione dei parlamentari, che noi abbiamo accettato, si deve accompagnare ad una legge elettorale che dia equilibrio». L’equilibrio si ottiene solo con il proporzionale. Prodi e Veltroni non la pensano così. «Sicuramente quel modello evita il rischio che venga cancellato il principio della rappresentanza. Contestualmente dobbiamo mettere mano ad alcune riforme costituzionali che il suo giornale ha già anticipato». Se l’esecutivo si giudicherà dai fatti, c’è subito un primo test. Gli immigrati. «Certo, è un’emergenza. Confidiamo nella Ue. Ma per avere risultati non servono le urla di Salvini. E state sicuri che ce ne saranno presto. Il punto è far capire che chi viene in Italia, non viene per rimanerci ma per entrare in Europa. Non si tratta solo di salvare le persone – solo il doverlo dire mette paura – ma di accettare il principio dei confini dell’Unione, attivare una politica di sostegno verso i paesi di provenienza e combattere tutto ciò che c’è di criminale intorno alle migrazioni. Salvini non ha fatto nulla di tutto questo». Serve anche redistribuire i nuovi arrivi in tutti i paesi. «Certo. Chi viene in Italia, viene in Europa. Ma non si ottengono risposte tenendo degli essere umani in mare per giorni”. E cambierete i decreti sicurezza? «Recepiremo tutti i rilievi del presidente Mattarella. Salvini ha usato la sicurezza come arma di distrazione di massa. Doveva alimentare la paura e quindi non faceva nulla per la sicurezza nelle città. Romperemo questa spirale perversa». Per rompere certe spirali, c’è anche la legge di Bilancio. Sarà di sinistra? «La prima esigenza è non far scattare l’aumento dell’Iva. Il secondo è intervenire sul cuneo fiscale». Quanti miliardi servono? «Faremo tutto il possibile nell’ambito delle risorse disponibili. Di certo, anche le scelte obbligate le assumeremo senza impatto sociale». Però, qualche problema con i grillini lo avete già. Ad esempio la Tav. «Come in tutte le coalizioni ci saranno temi che metteranno in difficoltà noi e altri loro. Quella mi sembra una decisione già presa prima di questo governo». E le concessioni autostradali saranno revocate? «Valgono l’accordo di governo e le parole del premier in aula». E’ vero che ha già bloccato la riforma del suo predecessore Bonisoli? «Ho apprezzato che lui non abbia stravolto la mia. Nella sua ci sono cose che non mi convincono e cautelativamente abbiamo fermato i decreti emessi ad agosto. Li correggeremo. Ma non sarà la riforma della controriforma». Dica la verità, avendone parlato a luglio, lei si sente il vero vincitore di questa nuova fase giallorossa? «Assolutamente no».
O rmai si è abituato alla cravatta, e anche alle stanze che sono tutte un affresco. L’estate, Roberto Fico, l’ha passata soprattutto lì, nel suo ufficio a Montecitorio, a tessere la tela di un governo che sembrava impossibile. “È stato un lungo lavoro, ma alla fine sono lieto di essermi trattenuto” sorride il presidente della Camera. Quanto è stato difficile? Il Pd la voleva a Palazzo Chigi. Io ho lavorato innanzitutto per le istituzioni. Durante una crisi di governo, per prassi, il presidente della Camera diventa un “c o n si g l i e r e ” e un aiuto del capo dello Stato. Serviva una soluzione: non credo che si sarebbe fatto un servizio al Paese andando a votare dopo un anno e mezzo. Il Pd era più che favorevole a sostenerla. Forse era il M5S a non volerla davvero. Da presidente della Camera avevo il compito di lavorare per la soluzione della crisi e non per fare io il presidente del Consiglio. E comunque sono onorato di avere il ruolo che ho: tengo moltissimo a portarlo avanti. Quanto al Movimento, il suo nome per Palazzo Chigi era quello di Conte. Io stimo il presidente del Consiglio, arrivare a lui è stato un ottimo punto di caduta. Era anche l’obiettivo di Beppe Grillo, che in un sabato di agosto scrisse che era necessario trattare con il Pd. Eravate state avvertiti? Quello è stato un postdi Beppe in qualità di garante del Movimento. Aveva compreso che Matteo Salvini, con scarso rispetto della Costituzione, pensava di avere già le elezioni in tasca. Grillo ha valutato che c’era un programma da portare avanti, partendo da temi come l’ambiente. E ha scritto che bisognava provare un’altra strada. È stata la miccia? Il pensiero di Beppe ha creato un grande dibattito, e da lì è scaturito il percorso. Non era così condiviso nel Movimento. Quando vi siete riuniti a Marina di Bibbona con Grillo, Di Maio e Di Battista non erano affatto convinti dell’accordo con il Pd. C’è stato un dibattito: le opinioni diverse servono a costruire una strada. E il lavoro del gruppo parlamentare è stato fondamentale. Votare l’accordo sulla piattaforma Rousseau ha rischiato di mettere in difficoltà il Quirinale. Ne valeva la pena? Andava fatto, perché noi abbiamo consultato gli iscritti in tutti i passaggi importanti. E poi il sì è stato plebiscitario, a conferma che la strada intrapresa è ragionevole. Anche se può sembrare una fusione a freddo, necessaria solo per evitare le urne e la vittoria di Salvini? Anche nel 2018 era nato un governo che non era stato votato dagli elettori, in un Parlamento senza una chiara maggioranza. Il M5S fece un accordo di programma con la Lega, dopo che non era riuscito a farlo con il Pd. La verità è che ha vinto la democrazia parlamentare, assieme al buon senso di portare avanti le cose da fare. Di Maio ha detto che il M5S dovrà essere “l’ago della bilancia”: vuole dire che diventerete una Dc 2.0? Non ho mai pensato al Movimento come l’antipolitica o l’antisistema. Noi vogliamo rinnovare la politica, dare forza ai temi. Ma serve la collaborazione dell’Europa: sento dire che il M5S è diventato europeista, ma la verità è che è l’Unione che sta cambiando. Nel programma del commissario europeo Von der Leyen ho visto per la prima volta in modo netto punti come la revisione del trattato di Dublino sui migranti e quella del Patto di stabilità, per favorire manovre più espansive, assieme all’impegno sulla riduzione delle emissioni inquinanti. Promesse, in parte neanche i n e d i te . Se vuoi cambiare tutto alla fine non cambi nulla. Se lavori con la politica, tra cinque anni potremo cambiare delle cose. E riusciremo a ‘contaminare’ l’Europa con nuove idee. In Italia invece il M5S dovrà fare accordi con il Pd. Come farà a trovare un’intesa sulla legge pubblica sull’acqua, a cui lei tiene moltissimo? Il Parlamento ha l’as s o lu t o dovere di dare attuazione al referendum sull’acqua del 2011: fu un plebiscito. E le banche? Voi 5Stelle per anni avete inveito contro “il partito di Mps ed Etruria”. È normale che quando inizi un lavoro con un’altra forza politica i punti su cui non sei d’accordo vanno affrontati. Il tema però è che il Parlamento deve essere centrale, perché quando le leggi vengono discusse a fondo nelle commissioni, assieme alle opposizioni, i provvedimenti ne escono migliorati e i conflitti attenuati. Per questo avevo mandato mesi fa una lettera a Conte sull’eccessivo ricorso alla decretazione d’urgenza. E sono lieto che ne abbia parlato nel suo discorso alla Camera. Dopo le Europee in un’a ssemblea lei aveva esortato i 5Stelle a ridefinire rotta e valori. Come si fa? Nel Movimento va fatta una discussione, e il perno deve essere la collegialità. Ne serve di più? Oggi il M5S è molto complesso, con una vasta partecipazione. Servono nuove forme per aumentare la collegialità, per renderla migliore. Il capo politico Di Maio vuole referenti territoriali e una segreteria nazionale distribuita per temi. Dovete davvero darvi una struttura? Sì, ma le forme possono essere tante. Quello che è necessario è uno schema di partecipazione alle scelte, non solo nei momenti di emergenza. La democrazia diretta non può bastare. È complementare, ma non sostitutiva della democrazia rappresentativa. Allearsi con il Pd nelle prossime elezioni regionali è giust o? Su quello mi rifaccio allo Statuto, che prevede la possibilità di allearsi con liste civiche. Nei 14 mesi del governo gialloverde la Rai è stata terra di co n q u i st a . Sulla Rai si può fare molto di più e molto meglio. Serve una legge sulla governance della tv pubblica, per dare impulso alla cultura dell’indipendenza. Il M5S ha perso l’anima governando con la Lega? Fin quando avrà percorsi chiari e spiegherà in modo trasparente cosa vuole fare, riuscirà a salvaguardare la sua identità.
Ministra Teresa Bellanova com’è andato il passaggio delle consegne con Gianmarco Centinaio?
«La prima cosa che ho fatto dopo il giuramento è stata quella di cercare il mio predecessore. Una volta, due volte, tre volte. Non sono stata richiamata. Il ministro non ha voluto fare nessun passaggio di consegne. È accaduto anche per altri ministeri».
Prova imbarazzo a stare con i grillini?
«No, perché sono fermamente convinta che non avevamo alternativa rispetto alla scelta messa in campo da Salvini di andare al voto per avere una maggioranza tale da portare questo Paese fuori dall’Europa e dall’euro. È vero che con i 5 Stelle abbiamo differenze programmatiche: dobbiamo portarle a sintesi,
«
Il rifiuto di Centinaio
«Il mio predecessore
alle Politiche agricole non ha neanche voluto passare le consegne»
«Io ho 61 anni, sono una donna fortunata perché faccio la ministra dell’Agricoltura. Potevo morire insieme alle mie colleghe a 15 anni in un pullmino dove erano stipate 40 persone invece di 9. Al contrario non solo ho avuto la possibilità di avere la mia vita, ma anche un figlio meraviglioso e l’opportunità di fare delle cose che incidono sulla vita degli altri. È evidente che ci sono delle cose che mi sono state negate: il diritto allo studio e il diritto all’infanzia e quindi al gioco. Ebbene, io adesso gioco con i colori, li amo perche amo la vita. E quando hai conosciuto la fatica nera tu hai il dovere, prima ancora che il diritto, di amare la vita perché devi rivalutare quello che ad altri non è stato dato».
Si è sentita ferita?
«Onestamente no. Non mi lascio ferire e dico con altrettanta sincerità che chi ha avuto la mia vita non può permettersi di stare lì a fare la vittima. Però mi hanno un po’ irritata perché questo Paese dovrebbe discutere di altro. Anche perché se una si iscrive a Miss Italia si mette in mostra e sa che deve essere giudicata anche per come veste, io sono stata chiamata a fare il ministro dell’Agricoltura, perciò magari se mi valutano per quello che faccio lì siamo tutti più contenti».
Lei è molto vicina a Renzi, si parla di una sua scissione: andrà con lui?
Gli attacchi
per i vestiti?
Chi ha fatto la vita di bracciante
non può permettersi
di fare la vittima
Da bimba
mi sono stati negati dei diritti, anche al gioco
E ora gioco con i colori
«È un tema che non è all’ordine del giorno in questo momento.Tutti votiamo il governo Conte. Renzi è quello che più ha lavorato perche questo Paese non cadesse in una pratica antidemocratica quindi oggi parliamo di questo. Poi, quando ci saranno fatti nuovi ne parleremo e io ancora una volta dirò con molta chiarezza da che parte sto».
Presidente Marcucci, che ne pensa del discorso di Conte?
«È stato un discorso molto ampio che ha valorizzato e tenuto conto del lavoro programmatico di queste settimane che ho vissuto in prima persona. Il dato più positivo è che l’ho visto molto proiettato in avanti, al futuro del Paese e non ripiegato sulle battaglie ideologiche di questa brutta esperienza gialloverde».
Con i 5Stelle. Su Tav, autostrade e Gronda sono già scoppiate le polemiche.
«Io ho vissuto direttamente il confronto che c’è stato in particolare con i capigruppo. Avevo già un ottimo rapporto personale con Stefano Patuanelli e sono stato avvantaggiato. Abbiamo lavorato bene sin da subito su temi anche delicati. È chiaro che non si cancellano i 15 mesi precedenti e nemmeno i 5 anni prima, ma possiamo superare in maniera leale e corretta i problemi. Del resto, il programma è un primo segnale molto chiaro in questo senso. Un lavoro più complicato e faticoso rispetto a quello di mettere insieme due programmi con un contratto, che è poi stata la condanna del governo precedente».
Non teme che le divisioni tra i 5Stelle si ripercuotano sul governo?
«Io mi auguro che alla fine quello che ha prevalso in queste settimane, cioè il senso di responsabilità, sia la guida dei comportamenti dei 5Stelle, del Pd e delle altre forze della maggioranza. Solo in questo modo si può fare bene e si può nutrire l’ambizione alta di tirare fuori dalle secche questo nostro Paese. Se invece dovessero prevalere le dinamiche di scontro, di rivincita personale e di parte allora non si andrebbe da nessuna parte».
Vi unificherete con Leu ?
Se venisse meno
la logica maggiorita-ria sarebbe naturale se nascessero prospettive politiche diverse
«Non credo. Ho visto chiaramente la volontà da parte di Leu di mantenere rappresentanze e programmi autonomi e indipendenti. E la stessa legge elettorale proporzionale a cui si sta pensando non favorisce la riunificazione».
A livello regionale farete alleanze con i 5Stelle?
«Non lo escludo. Io penso che le alleanze si facciano sulla base dei programmi e dell’agenda di governo di un territorio. Qualora ci sia una convergenza non vedo ostacoli ideologici e culturali visto che stiamo insieme al governo nazionale. Poi noi diamo un’ampia delega al partito locale».
Lei che lo conosce bene: Renzi farà la scissione in ottobre?
«Io credo che la forza che ci ha aiutato in questo passaggio difficile sia stato il gioco di squadra: la rottura del tabù da parte di Matteo, l’unità del gruppo dirigente, incluso il segretario Zingaretti… Comunque se dovesse venire meno la logica maggioritaria sarebbe anche naturale se nascessero prospettive politiche diverse, l’importante è che ci sia il sostegno a questo governo sino alla fine della legislatura. Dopodiché non mi risulta una cosa del genere a breve»
Quest’anno «con un governo dalla visione pro europea le discussioni sui conti italiani saranno più facili». Mário Centeno è a Cernobbio per il Forum Ambrosetti. A Villa d’Este, in riva al lago di Como, il presidente dell’Eurogruppo cerca l’equilibrio. Il ministro portoghese che presiede le riunioni con i colleghi della zona euro parla con la credibilità di chi è riuscito a rilanciare la crescita del suo Paese rispettando le regole della moneta unica. La colomba di Lisbona è sollevata dall’arrivo di un esecutivo favorevole all’Europa. Promette dialogo e flessibilità «all’interno delle norme esistenti e nel rispetto degli impegni presi dall’Italia». Ma fino a quando gli europei non si saranno confrontati con il neo ministro Roberto Gualtieri («un amico») e non avranno letto la manovra, è impossibile pensare a soluzioni creative, a una flessibilità extra che renda più facile al Tesoro sopportare la manovra monstre ereditata dai gialloverdi (si parte dai 23 miliardi per disinnescare l’aumento dell’Iva). In definitiva, c’è l’apertura di credito di chi sa che è più facile trovare soluzioni dialogando piuttosto che insultandosi, anche se le regole non verranno stravolte per aiutare l’Italia a uscire dall’era sovranista. Centrale, per guadagnare la fiducia dei partner e trovare vie d’uscita, sarà «la qualità della manovra». Presidente Centeno, come valuta la nascita del Conte bis? «La presenza di un governo pro europeo è molto importante, ho lavorato bene con Giovanni Tria ma è stato un periodo estremamente difficile. I problemi dei mesi scorsi hanno danneggiato molto l’Italia sui mercati e nelle relazioni con i partner della zona euro. È importante avere un approccio europeista in modo da poter affrontare insieme le sfide che ci attendono e per questa ragione sono contento di incontrare la prossima settimana all’Eurogruppo di Helsinki il nuovo ministro Roberto Gualtieri che conosco bene per la sua precedente carica di presidente della commissione economica del Parlamento europeo. Sono certo che il nostro confronto sarà molto fruttuoso». I vostri colloqui ruoteranno intorno alla flessibilità: a suo avviso in che misura l’Europa potrà aiutare l’Italia ad affrontare la manovra? «È impressionante quanto lo spread sui titoli di Stato italiani sia sceso in così pochi giorni, significa che i mercati hanno accolto positivamente il nuovo governo. L’assetto istituzionale dell’Unione a volte genera attriti ma sappiamo anche che abbiamo abbastanza flessibilità e spazio di manovra nelle regole attuali. Le norme della zona euro permettono già di attuare le politiche necessarie per rilanciare la crescita». In Italia c’è la percezione che ora l’Europa concederà flessibilità extra. È così? «La flessibilità non viene concessa in base all’orientamento verso la Ue di un governo ma è all’interno delle nostre regole e aiuta a raggiungere una valutazione positiva di determinate politiche da parte della Commissione e dei partner dell’Eurogruppo. L’importante è lavorare all’interno delle norme senza sfidarle. In Portogallo, ad esempio, abbiamo mantenuto gli impegni ma abbiamo cambiato politiche, le abbiamo spiegate all’Europa e agli investitori e ne abbiamo valutato l’impatto strada facendo. Sono certo che l’Italia individuerà le sue priorità politiche senza spezzare il lavoro con le istituzioni dell’Unione in modo da non compromettere la stabilità. I paesi con un alto debito come Italia e Portogallo devono mantenere gli impegni altrimenti i tassi salgono rendendo ancora più difficile il lavoro del governo». Ha qualche suggerimento su come trovare un giusto mix di politiche per la crescita e rispetto delle regole? «Non mi spingerei tanto lontano, ma ricordo che i governi godono di grande libertà nello stabilire la composizione di spese e politiche nelle loro leggi di bilancio. Capisco che alzare l’Iva danneggerebbe l’economia, ma l’attuazione del bilancio 2019 sta andando bene. Questo avrà un impatto positivo sul 2020 riducendo l’importo dell’intervento per disinnescare le clausole sull’Iva». In Italia la crescita è ferma: sarebbe una buona idea sostenerla con misure espansive? «Se in passato è stato sbagliato imporre austerità in giro per il continente, oggi dobbiamo evitare di fare l’errore opposto, ovvero di spendere troppo senza tenere in conto la situazione dei singoli Paesi. Bisogna sempre essere consapevoli dello spazio di bilancio dei diversi partner. L’Italia deve trovare il giusto bilanciamento tenendo in considerazione il suo alto debito e la necessità di un risanamento del bilancio. D’altra parte l’Italia è in surplus da anni ma ha un problema cronico di crescita: è esattamente su questo aspetto, il rilancio dell’economia, che ci dobbiamo concentrare nella zona euro con politiche favorevoli alla stabilità e alla crescita». Ursula von der Leyen pensa a una svolta verde per l’Europa: sarà possibile scorporare gli investimenti per la green economy dal calcolo del deficit? «Questa eccezione al momento non è prevista e non abbiamo ancora discusso cosa implicherebbero sui bilanci nazionali le nuove politiche sul clima della Commissione. Nel frattempo gli impegni dei governi e la qualità degli investimenti sarà cruciale per influenzare positivamente l’analisi di Bruxelles sui conti». In questa nuova legislatura europea sarà possibile, come auspicato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, riformare il Patto di stabilità? «Entro la fine dell’anno discuteremo una revisione del Six-pack e del Two-pack, due regolamenti centrali nelle attuali regole sui bilanci. Sarà di sicuro una discussione aperta e controversa. Non siamo soli in questo dibattito, ci sono 19 democrazie con sentimenti forti sulle regole fiscali. Intorno al tavolo vedo voglia di semplificare le norme e renderle più efficaci. Non vedo però la volontà di renderle più indulgenti e su questo dobbiamo essere chiari da subito per evitare false aspettative e fraintendimenti. Ma nel semplificare le regole possiamo renderle più intelligenti e democratiche e più facili da comprendere per i cittadini. Visto che sono importanti, devono poter essere capite da tutti». È sollevato dal fatto che Matteo Salvini non sia più al potere? «Ci sono diversi modi di cambiare la direzione delle politiche europee. Quello che sicuramente non funziona è affidarsi ad annunci altisonanti e allo scontro con partner e istituzioni Ue perché provoca sempre contraccolpi negativi nel proprio Paese. Per migliorare l’Europa serve uno spirito costruttivo». La Ue sente la necessità di aiutare questo governo per evitare il ritorno dei sovranisti? «Il populismo sta aumentando nei paesi in cui si apre la porta a risposte semplici a questioni complesse. È facile dare ricette magiche, ma poi sono impossibili da attuare. Le domande dei nostri cittadini devono sempre essere ascoltate, ma il populismo è certamente la risposta sbagliata perché poi non passa il test della realtà. In Europa abbiamo gli strumenti e le istituzioni per rispondere alle difficoltà della società senza mettere in discussione grandi risultati come euro, mercato interno e libertà di movimento». Sostiene la candidatura di Paolo Gentiloni a commissario europeo agli Affari economici? «L’aver scelto un ex primo ministro come commissario è un passo molto importante che dimostra l’attenzione verso l’Europa del nuovo governo. L’esperienza e la maturità di Gentiloni saranno un valore aggiunto per qualsiasi portafoglio dovesse gestire, compreso quello per gli Affari economici».
Incontro Maurizio Landini alla festa provinciale della Fiom Cgil torinese, la cui storia gloriosa è intrecciata a un comparto industriale dell’automobile ridotto oggi a soli due stabilimenti FCA a ciclo completo: Mirafiori e Grugliasco. Mentre il sindacato calcola che negli ultimi dodici anni la produzione di vetture, in quella che fu una città-fabbrica, ha registrato un crollo dell’80%. Di fronte a Landini ci sono dunque i rappresentanti aziendali di una classe operaia costretta sulla difensiva, la prima ad avvertire i colpi della recessione economica. Ma dal segretario generale della Cgil, ex operaio come loro, vogliono sapere cosa ci si debba aspettare dalla politica, adesso che al governo ci sono andati insieme i due partiti più votati dagli iscritti: Cinquestelle e Pd. Landini, è questo il governo che aveva in mente quando il 17 agosto scorso, in anticipo su tanti altri, diceva a Repubblica che bisognava evitare l’esercizio provvisorio e costruire nuove alleanze per fronteggiare la recessione? «Intanto a me pareva importante che il Paese sapesse attraverso il dibattito parlamentare il perché della crisi e se c’era o non c’era un’altra maggioranza. Rifiutando l’idea che si dovesse andare alle elezioni solo perché l’aveva deciso qualcuno, a seguito della rottura di un accordo fra privati. Ci voleva finalmente un governo, dopo tanto tempo perso, quattordici mesi di campagna elettorale, intanto che i problemi si aggravavano. È quello che non solo io, ma tutto il movimento sindacale chiedeva: un governo di svolta rispetto alle politiche economiche e sociali sbagliate — badi bene — non solo dell’ultimo, ma anche degli altri governi precedenti. E poi costruire un rapporto diverso con l’Europa, invertire la spinta alle disuguaglianze partendo da una grande riforma fiscale, la totale revisione della Fornero. Staremo a vedere, ma intanto si è dimostrato che quella maggioranza, se c’era la volontà, poteva nascere». Possiamo dire che nel Conte bis si realizza l’alleanza fra i due partiti più votati dagli iscritti della Cgil? «Questo è un dato di fatto, confermato dai sondaggi e da numerose ricerche. Vivono al nostro interno sensibilità che speriamo si manifestino anche nella nuova maggioranza. Ma non voglio costruirci sopra delle alchimie politiche. Se è per quello, c’è anche una parte dei nostri tesserati che ha votato Lega. Io non sono un suggeritore di equilibri di governo, sono un custode geloso dell’autonomia del sindacato dai partiti, dal governo e dalle imprese. L’abbiamo dimostrata sul campo. Non ci lasciamo condizionare, per noi valgono quei contenuti che abbiamo definito con Cisl e Uil e sostenuti con la mobilitazione nel Paese». Chi conosce meglio, fra i nuovi ministri? «Beh, Teresa Bellanova è stata una dirigente della Cgil. Vorrei approfittarne per esprimere solidarietà alla ministra dell’Agricoltura, denigrata per il suo titolo di studio. Per vostra informazione, anch’io ho solo la licenza media. È una colpa provenire da famiglie che non potevano permettersi di far studiare i figli? Lo trovo offensivo e, se mi permette, parecchio classista. Al contrario, Teresa ha radici che non si scordano, nel lavoro sfruttato che ha duramente combattuto. Non avrà titoli ma ha studiato quando il lavoro glielo permetteva probabilmente più di molti suoi critici. Ci siamo trovati in dissenso sul Jobs Act ma sono sicuro che il suo impegno contro il caporalato e il lavoro nero sarà importante». Nunzia Catalfo, ministra del Lavoro? «La conosco meno. Ho avuto modo di rappresentarle le nostre posizioni sul salario orario minimo, che non può e non deve prescindere dalla validità erga omnes dei contratti nazionali di categoria, se vogliamo combattere la piaga dei falsi contratti-pirata. E qui c’è uno dei segnali di cambiamento che mi aspetto da questo governo: il recepimento degli accordi tra sindacati e sistema delle imprese per la misurazione della rappresentanza, la validazione degli accordi e la democrazia economica. Poi, oltre ai salari orari minimi, bisogna garantire anche gli altri diritti: malattia, infortuni, maternità, ferie. Sul reddito di cittadinanza, di cui la ministra è stata fra gli artefici, è noto che noi lo avremmo fatto diversamente, pur essendo favorevoli a uno strumento per combattere la povertà. Non dimentichiamo che si può essere poveri anche lavorando. Ci confronteremo nel merito e sapremo convincerla». Stefano Patuanelli, ministro dello Sviluppo economico? «Sinceramente non lo conosco. Mi dicono che ha dato un contributo importante al programma di governo. Gli ricorderò che il suo ministero non serve solo a gestire le crisi aziendali ma deve delineare scelte strategiche di politica industriale, oggi assenti e di cui il Paese ha un particolare bisogno». Di sicuro conosce, invece, il premier Conte… «Mi sono permesso di esprimere un giudizio positivo sul modo in cui ha respinto prima le avances e poi gli insulti della Lega nel mese di agosto. Ha dimostrato coraggio politico e rispetto delle istituzioni. Ora che guida un’altra maggioranza, mi dà l’impressione che, a differenza dei precedenti, abbia capito che i cambiamenti non si realizzano senza le parti sociali. Con Cisl e Uil abbiamo già chiesto che si attivi il confronto, che instauri un rapporto strutturale, vero e produttivo, con le organizzazioni sindacali e datoriali. Ho fiducia. È questo un altro dei segnali di discontinuità che il governo deve dare rispetto agli esecutivi che l’hanno preceduto. La democrazia è fatta di rappresentanza. La prima richiesta che farete al nuovo governo? «Una seria riforma fiscale. Che riduca la tassazione sul lavoro dipendente e sulle pensioni, in modo che la gente veda aumentare le proprie entrate. Accompagnata da una ripresa della lotta contro l’evasione fiscale e da un provvedimento che affronti in una logica di solidarietà e di lotta alle diseguaglianze, l’abnorme concentrazione di ricchezza finanziaria e patrimoniale che si è determinata. Questa è una delle priorità, se si vuole allestire un piano straordinario di investimenti, da contrattare anche in Europa». Ci sono invece provvedimenti del primo governo Conte di cui chiedete la revisione? «Oltre ai decreti sicurezza di Salvini e a un approccio più complesso e direi accogliente nei confronti dell’immigrazione riaprendo una discussione con l’Europa sulle regole, va profondamente rivisto il cosiddetto “sbloccacantieri” che aumenta la piaga dei subappalti e facilita la malavita a sfuggire ai controlli. In edilizia, al contrario si possono sperimentare anche forme di intervento pubblico, come utilmente avvenuto nella integrazione Salini-Impregilo-Cdp-Fondazioni bancarie». E sulla questione dei bassi salari, dobbiamo aspettarci un autunno caldo? So che i metalmeccanici chiedono 153 euro di aumento. «Se è per quello, gli alimentaristi, con ragione, ne chiedono 205. E poi ci sono i bancari… l’anno prossimo scadono i contratti di 9 milioni di dipendenti privati, a cui si aggiungono i pubblici. Cgil, Cisl e Uil chiedono unitariamente che i prossimi aumenti salariali vengano detassati, per favorire anche una ripresa dei consumi». Landini, lei in passato ha rifiutato più volte di impegnarsi direttamente in politica. Da sindacalista, quale contributo può dare la Cgil a rigenerare una sinistra che ha reciso molti legami con le classi subalterne? «Le rispondo che come sindacato unitario, cioè recuperando quella forza che si manifesta solo se c’è l’unità sindacale, noi possiamo dare un contributo ancora più importante. Rimettendo al centro il lavoro, la sua qualità e la sua sicurezza si può aspirare a una rigenerazione culturale del Paese, vincere questa brutta tendenza alla frantumazione e alla mercificazione delle persone. Una sinistra popolare e più in generale una nuova cultura politica non può rinascere fuori da questo orizzonte unitario, restituendo al lavoro la sua dignità che in troppi hanno sminuito e che in molti ancora calpestano».
«Abbiamo un governo profondamente rinnovato rispetto alle compagini precedenti, con un’età media giovane, ma non improvvisato». All’indomani del giuramento, il vicesegretario del Pd Andrea Orlando si sente con Alfonso Bonafede, il ministro della Giustizia che gli è succeduto in via Arenula: la settimana prossima si vedranno per qualche considerazione a quattr’occhi. Ora commenta con soddisfazione la squadra che lui, protagonista delle trattative, ha contribuito a far nascere. Lei però ha deciso di restarne fuori, perché? «Nonsonounteoricodelrinnovamento a prescindere, ma adesso era importante aprire una pagina nuova. Sarebbe statosbagliatouncollagedigoverniprecedenti». Lei invece resta al partito. «Non possiamo affidare tutte le speranze di riuscita solo al governo, come in passato. Il ruolodelpartito èdeterminante: abbiamo bisogno di trasmetterequestaesperienzaanche a livello locale ricostruendoun’organizzazione». Dopo anni di insulti non è una scelta facile da spiegare. «Io non ho mai partecipato alla battaglia degli insulti pur avendone ricevuti molti. Ho sempre pensato che nel M5S ci sianospinteinternecompatibili con il Pd e altre di segno opposto: bisogna fare prevalere leprime.Lapartita èaperta». Il governo ha impugnato una legge sull’immigrazione: primo segnale di discontinuità? «Dovremo dare dei segnali su questotema,mettendoinchiaro che non rinunciamo al controllo dei flussi né ignoriamo che l’integrazione, se non funziona, può portare a problemi di convivenza. Una prima discontinuità è già data dal fatto che non c’è più un ministro dell’Interno che usa i migranti comeunospot quotidiano». Rimetterete mano ai decreti sicurezza? «Il punto di partenza imprescindibile è accogliere i rilievi del capo dello Stato. Poi bisogna fare una valutazione complessiva, che vada oltre “porti aperti-porti chiusi” e passi dal rapporto con l’Europa e le modalitàdiintegrazione». Pensate di poterlo fare con chi ha votato i dl sicurezza? «Abbiamo fatto il governo proprio perché non volevamo che queltipodipoliticacontinuasse. Vedo tutte le difficoltà, ma meglio una strada impervia di una semplicecheavrebbeportatoalla vittoria di un centrodestra su posizioni pericolose. In politica non si sceglie in astratto, ma tra lealternativedisponibili». Quindi ha ragione Salvini: avete fatto un governo per paura di lui. «Lapreoccupazioneperladeriva autoritaria del Paese è importante, ma non sarebbe statasufficiente.Il puntoè cheabbiamo individuato possibili convergenze,dallalottaalledisuguaglianze al riavvicinamento dell’Italia all’Europa alla centralità dell’ambiente. La settimana prossima chiederò di calendarizzare una legge sulconsumo delsuolo». E sulla giustizia? Bonafede ha scritto una riforma che ha creato tensioni con la Lega, se la proponesse a voi, l’accettereste? «Non si può pensare che un nuovo governo prenda per buono un testo che è stato costruito da due forze politiche chenoncicoinvolserominimamente, e di cui una era la Lega. È ragionevole che si ricominci ladiscussione». Bonafede ha bloccato la sua norma sulle intercettazioni definendola un «bavaglio all’informazione»… «Credosi trattidi enfasipropagandistica, nel mio testo non c’era nessuna sanzione per i giornalisti. Su due o tre cose siamo già d’accordo e possiamocominciarealavorarcisubito, intanto possiamo discutere per trovare un’intesa su quello checivede piùdistanti». Quali sono queste due o tre cose? «Il tema civile, l’emanazione deldecretocheriguardailfallimentare,ilpotenziamentodelle infrastrutture nel settore giustizia». Insisto: chiederà a Bonafede di non bloccare più il suo testo sulle intercettazioni? «Ilprecedentegovernocihainsegnato che i nodi non si sciolgono con ultimatum sui giornali, ma sedendo a un tavolo e discutendo». Da gennaio andrà in vigore anche il blocco della prescrizione. Siete d’accordo? «Credo che la drastica cancellazione della prescrizione sia un errore, ma dentro un percorso processuale si possono trovare equilibri compensando con altre garanzie. Ma, ripeto, è sbagliato pensare a una discussione senza prima sedersi a un tavolo». Il governo arriverà a fine legislatura? «Siamo dentro a un’esperienza inedita, con mille incognite. Durerà se sapremo dare riforme al Paese. Vedo le condizioniperché questoavvenga». Renzi è stato il primo ad aprire, ma è sospettato anche di essere quello che deciderà quando staccare la spina… «Lo escludo. Ho idee molto diverse da Renzi, ma gli riconosco troppa intelligenza politica per rivendicare la nascita del governo per farlo cadere pocotempo dopo».